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sua, mi potete voi negare che qualche cosa gli manchi? Or l’uomo cui manchi qualche cosa io soglio chiamar piú piccolo. — In talune cose io sono un poco austero. Nessuno piú di me ama la gloria dell’ Italia, ma voglio che la gloria sia solida, grande, durevole qual era quella a cui ambivano gli italiani antichissimi. Non vedete voi quanti mali ci circondano e ci premono? Tale è sempre la sorte degli ignavi e degli imbelli. È tempo di riunire alla gloria di saper dire delle cose belle anche quella di saper fare delle cose grandi, perché le nazioni, le quali non le sanno fare, o presto o tardi non le sapranno neanche dire, e le menti degli uomini s’impiccioliscono, s’impicciolisce il loro cuore, e, non avendo essi le vere idee del bello e del grande, si formano un bello manierato, da retore, da scuola, e si cade nel languido, nel leccato, nel falso: come vi caddero prima i greci, poi i romani ed oggi vi corriamo noi. Io penso su queste cose come quel Fabrizio Colonna nell’or/* della guerra del nostro Segretario fiorentino. — La carta è finita. Io ho scritto tutto ciò che m’è venuto in mente. Voi considerate questa lettera come un attestato della mia stima per voi, e credetemi vostro amico ed ammiratore... XLIV. — Al fratello Michele. — | Milano, primo semestre del 1804). — ... Dicono che io son disgustato con Nobile, e questo non è vero: prova ne sia che Platone si stampa da Nobile. Ho con Nobile de’ conti, e questi portano, come sempre suole avvenire, qualche discussione; ma non vi è stata mai lite... Io ho trecentocinquanta lire al mese di soldo. Sapete che la mia situazione prima era incerta: per otto mesi è stata sospesa: non è stabile che dal mese di gennaio passato. Negli otto mesi che è stata sospesa, se avessi chiesto al governo qualche soccorso, l’avrei ottenuto. Mi dirai: — Perché non l’hai chiesto? — Per quella massima che non bisogna mai mostrarsi bisognoso per non essere disprezzato. È vero che il vicepresidente mi ha poi ricompensato piú che largamente, facendomi un dono generosissimo di cinquemila lire. E voi mi direte: — Dove sono?—Eccotene il conto. In primo luogo dovea saldare il debito contratto negli otto mesi, e questo ha importato circa duemila lire. Le altre doveano impiegarsi per la stampa di Plalotie, che, dopo tanta generositá, non poteva, senza estremo rossore, ritardare. E Platone , difatti, si sta stampando. Ne fo tirare mille copie. A dodici lire la copia danno dodicimila lire. Toltone il quarto che si consuma in spese di