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XV. — Al fratello Michele. — Milano, 7 gennaio 1802. — ... Io ho dovuto vivere in un paese forestiero, in un paese dove tutti ricevevano dalle case loro, dove siamo mal visti perché stranieri, e dove ogni giorno ci sentiamo fare i complimenti di «affamati», di «miserabili», che stiamo qui ad «assassinar la Cisalpina», e dove, se sembriamo miserabili, siamo sempre, disprezzati e mal visti. Voi non conoscete paesi esteri, e molto meno questo. Qui, dunque, non debbo troppo far vedere che io rimetto denari alla casa; anzi, quando mi occorre, debbo far credere, almeno indirettamente, che io ne ricevo e ne spendo... Vi debbo dire anche un’altra cosa, cioè che qui tutte le lettere, che vadano o che vengano, si leggono; e questa è anche la ragione per cui son laconico nello scrivere... Saprai come io sono partito per Francia. Io non avea un abito, non avea un soldo. Il primo giorno in cui tn’imbarcai, non avea che mangiare... Un ascendente di fortuna, che io ho provato dal momento dell’arresto fin oggi, mi fece trovar denari e mangiare. Io giungo a Marsiglia: quel denaro, che avea ricevuto, mi serve a vestirmi da capo a piedi. E poi come faremo? Mi metto in balia della sortè: nessuno è stato piú favorito di me. Senza aver mai un soldo, ho viaggiato la Francia come un galantuomo, senza mai avvilirmi, senza mai commettere alcuna disonestá. Giungo in Italia. Quella mattina che vi giunsi, se non incontrava Belpulsi sbarcando dal Naviglio, non avrei avuto che mangiare. Belpulsi mi vede, mi abbraccia, m’invita. Ritrovo Fontana, che io conosceva in Napoli ; ritrovo Massa: ecco due, tre altre tavole aperte. Si accorda il sussidio di una lira al giorno ai rifugiati : io prevedo che questo momentaneo soccorso un giorno mi avrebbe nociuto, e lo ricuso. Travaglio ad un’operetta che avea incominciata sopra la barca, che avea proseguita nel viaggio in Francia e su di cui fondava tutte le mie speranze. La finisco. Ma come stamparla? Se ne parla una sera: un amico, il quale non mi conosceva, sentendo parlare con vantaggio di me, domanda: — E perché dunque non la stampa?—E i denari? — Quanto ci vuole? — Circa ottocento lire. — Ditegli che venga da me. — Vado: quest’uomo mi conta ottocento lire, e non mi dá nemmeno il tempo di ringraziarlo. Volea fargli una ricevuta: non vuole. — Stampate l’opera — mi dice; — quando l’avrete venduta e non avrete bisogno, mi restituirete le ottocento lire. — Fratello caro, io non mi scorderò mai quest’uomo, a cui debbo tutto. Io volea partire, ed egli mi trattiene ancora, tira fuori due luigi (62 lire) e mi