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«Io vado di tempo in tempo, con grandissimo mio diletto, ad ascoltare i * canti di Rinaldo \ Talvolta procuro di tenermi nascosto, perché, se mai talun mi vetiesse, guai a me ! Un uomo che sta ad ascoltar

  • Rinaldo ’ deve essere senza dubbio uno dell’infima plebe, che non sappia neanche andar a giuncare al ridotto, andare ad annoiarsi in un teatro,

sbadigliare sentimentalmente con una bella donna, discorrer delle notizie del giorno, confondendo la Svevia colla Svezia e credendo Breslavia esser una principessa, e finalmente neanche dir male del prossimo, il che, dopo quella di dir degli spropositi... è la piú importante occupazione degli uomini. Qualche altra volta poi m’indispettisco contro questo giudizio del pubblico, mi mostro il primo tra tutti gli ascoltanti e son quasi superbo di me stesso». Che cosa sono infatti i «Rinaldi» napoletani? Nient’altro, come disse giá il Vico, che una continuazione degli antichi rapsodi della Grecia e dell’ Italia. Senza dubbio, la materia del canto e il canto stesso sono oggi assai decaduti. Ma perchè? «Perchè i nostri rapsodi non hanno, a differenza degli antichi, altri uditori che gli uomini del popolo, e perché il popolo nostro, per colpa de’ governi passati, non ha ricevuto ancora quella educazione che è necessaria a gustar altre cose». Pure, quanto è interessante il popolo napoletano nel suo culto per Rinaldo! «Vi sono gli amici ed i nemici; e tra questi non sono rare le dispute, le villanie e qualche altra specie di guerra anche piú forte. Io ho visto moltissimi degli amici di Rinaldo piangere al canto della di lui morte e conservar lungamente il lutto ed il dolore. Moltissimi tengono Rinaldo in concetto di santo, e non mancano di raccomandarsi a lui ne’ propri bisogni. Tutto ciò fará ridere qualcheduno che vorrá passar per savio. Io non veggo in ciò se non un popolo che ha fantasia e cuore». — D’altra parte, il popolo ha pur bisogno d’una mitologia eroica; e la mitologia eroica nostra è precisamente la storia dei cavalieri erranti. Cinquecento anni circa dura il ciclo cavalleresco, cioè press’a poco quanti ne dura il ciclo omerico. E quanti caratteri degli eroi della guerra di Troia non tornano, mutato nome, tra i cavalieri partecipanti all’assedio di Parigi ! € Io mi sono molte volte occupato di questo paragone, il quale conferma la gran veritá scoperta da Vico, cioè che tutti questi eroi altro non sono che le stesse idee de’ popoli ancora fanciulli poeticamente personificate, e in conseguenza, quando i popoli si trovano in circostanze simili, gli eroi imaginati da loro si rassomigliano». Ma, naturalmente, vi sono anche dissimiglianze. Angelica è tutt’altra cosa da Elena. Nei poemi omerici, a differenza di quelli cavallereschi, non vi sono altre donne interessanti che Elena e Penelope. «Nella cavalleria antica è minore il rispetto per gli deboli: è piuttosto disprezzo che pietá. Nella moderna questo sentimento diventa predominante, ed il soccorso ai deboli diventa un dovere: si unisce al sentimento dell’amore, e produce quel terzo sentimento misto, che noi sogliamo chiamare ‘ galanteria ma che meriterebbe un nome piú nobile, come quello a cui dobbiamo grandissima parte di quasi tutte le nostre presenti virtú».