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1. È universale, se comprende tutte le scienze, tutte le arti. Il fine del sapere è l’agire. Se le scienze non ci servono nei piú piccioli usi della vita, se non sono strettamente unite alle arti, o diventan quelle gloriosamente inutili, o rimangono queste imperfette. Noi diremo anche dippiu: restano imperfette anche le scienze, delle quali la prima base è sempre l’esperienza, figlia delle arti e dell’uso della vita; le arti, al contrario, diventano piú oculate e piú diligenti esperimentatrici, quando dalle scienze ricevono l’acume necessario a far l’esperienze e la diligenza indispensabile per poter restituire alle scienze medesime i risultati astratti delle esperienze fatte. Una delle caratteristiche de’ secoli barbari è quella di non esservi alcun rapporto tra le scienze e le arti.

Noi adopriamo la parola «istruzione» nel suo piú ampio significato; ed in ciò, oltre d’imitare tutta l’Europa colta, abbiam la gloria di seguire gli esempi domestici. I nostri pitagorici, forse i piú savi istruttori di tutta l’antichitá, niuna parte della vita umana escludevano dalla pubblica istruzione. In regni piú vasti forse la cura delle arti e delle scienze è divisa; perché la vastitá di ciascuno di questi oggetti rende impossibile all’attenzione di un sol uomo di occuparsi di tutti e due. Tra noi il dividerli non sarebbe necessario; trascurarne uno sarebbe male: quindi la necessitá di riunirli insieme. 2. L’istruzione dev’essere pubblica. Questo Regno non ha mancato mai di grandissimi ingegni, i quali han vinta la barbarie degli uomini e de’ tempi. Quando le scienze e le arti rovinavano insieme coll’impero romano all’urto de’ barbari del Settentrione, questo Regno produsse l’ultimo de’ grandi uomini della civilizzazione antica in Cassiodoro; e quando, dopo la lunga notte della barbarie, l’aurora delle scienze incominciò a risorgere, nostri concittadini furono e Telesio, che primo in Europa scosse il giogo dell’aristotelismo; e Campanella, che precorse Locke; e Bruno, che tante idee somministrò a Cartesio ed a Leibnizio; e Fontana, che divide con Galileo la gloria dell’invenzione e dell’uso del telescopio; e Bartoli, a cui niuno può toglier la gloria di aver inventato il barometro;