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Reggio e Crotone i romani, basta riflettere che, avendo, quasi mezzo secolo dopo, comandati da uno de’ piú colti loro consoli, dall’amico di Panezio e di Terenzio, conquistata Cartagine, tutti i libri, che trovarono in quella non incolta cittá, donarono ai principotti dell’Affrica loro alleati, né per essi ritennero altro che le Istituzioni di agricoltura di Magone. Mezzo secolo prima, presa Taranto, neanche le Istituzioni agrarie di Archita avran conservate. È certo che moltissimi illustri artefici avean fiorito nella Magna Grecia; ed è certo che essi di molte opere sia di pittura sia di scoltura aveano arricchite le patrie loro. Taranto, Crotone, Locri, Reggio dovean cedere di poco in ricchezza di belle arti a Sicione, Efeso ed Atene. Plinio ci ha conservata la storia degli artisti illustri dell’ima e dell’altra Grecia, e ci ha indicate quelle opere che di ciascun di loro trovavansi a’ suoi tempi in Roma. Ma, quando parla degli artisti della Grecia nostra, o una o due volte avverte di trovarsi opere loro in Roma. Erano forse i romani, quando conquistarono l’Italia, meno rapaci? No, ma erano meno colti. Non rapirono perché distrussero. La scuola pittagorica si estinse in Italia nell’etá di Filolao, di Tiineo, di Archita. Conservarono in Grecia la tradizione della loro dottrina Platone ed Aristotele; ma, divenuti capi di setta, furono dai loro seguaci reputati inventori di quelle veritá delle quali non erano che semplici ripetitori. È carattere eterno di ogni filosofia, tosto che diventa settaria, creder l’autor della setta inventor primo della dottrina che s’insegna. Siccome la credenza non è effetto della ragione ma del rispetto che si ha per l’autoritá del maestro, cosí si trascura ogni esame, il quale sarebbe pel discepolo superfluo, pel maestro oltraggioso. Che importerebbe sapere se egli ha detto il vero o il falso? se un altro prima di lui abbia detto lo stesso o il contrario? «Egli lo ha detto», e ciò basta; e non vi è piú né ragione né storia. Pure, fino all’etá de’ primi discepoli di Aristotele, le dottrine de’ pittagorici, ora seguite ora confutate, formarono non picciola parte degli studi de’ filosofi greci. Speusippo, Teofrasto, Aristosseno, al pari di Platone e di Aristotele, loro maestri, scrissero molti libri sulle medesime. Ma lo studio della filosofia avea in Grecia un vizio intrinseco, nascente dagli stessi ordini civili e politici de’ greci. La pubblica istruzione non fu mai presso di loro sotto la cura del governo. I maestri di lettere e di filosofia, privi di stipendio pubblico, non altra mercede potevan sperare