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li filosofi italiani erano stati i primi ad adoprare le matematiche nelle scienze fisiche. A’ tempi dunque di Platone e di Aristotele, cioè nell’etá che precedeva Alessandro, questi due sommi uomini riconoscono la superioritá dell’Italia sulla Grecia; ed insieme con essi la riconobbero tutti i loro contemporanei, se vogliam prestar fede al proemio che Diogene Laerzio prepone alla sua Istoria.

III

Nell’etá che segui immediatamente quella de’ discepoli di Aristotele, la tradizione delle dottrine pitagoriche interamente si estinse. Interamente estinta chiama Cicerone a’ suoi tempi tal filosofia, che pure qualche secolo prima era stata in tanto onore per tutta l’Italia, e loda Nigidio perché avea tentato di farla risorgere. Ma le cure di Nigidio o poco o nessun effètto produssero sulle menti romane, ed i suoi libri, come oscuri ed inintelligibili, furono disprezzati ed obliati. Siccome non abbiamo che pochissimi frammenti di questo uomo, il quale divideva con Varrone la gloria di esser il piú dotto de’ romani, cosí non possiamo dar giudizio del suo stile. È possibile che sia stato oscuro, ma è probabilissimo che la massima parte dell’oscuritá sia venuta dalla natura delle idee che esponeva. Ogni setta filosofica ha un linguaggio suo proprio, conveniente alle proprie idee: se non si studiano queste, rimane sempre oscuro il linguaggio. Il maggior numero de’ libri spesso è oscuro non per colpa dello scrittore ma del lettore. I libri pittagorici divennero rarissimi. Cicerone, uno degli uomini che avean piú letto e piú potuto leggere, non ne cita quasi mai. Né ciò avvien per poca stima che avesse delle loro dottrine: ché anzi, ogni volta che gli accade di farne menzione, lo fa sempre con molto onore. Plinio, l’altro tra i piú voraci leggitori di Roma, avea letti anche egli pochissimi libri pittagorici. Rufino taccia san Girolamo d’impostura, perché citava i libri de’ pittagorici, che nessuno avea letti e nessuno avea potuti leggere; e san Girolamo per sua difesa non altro risponde se non che li citava sulla fede di Cicerone, di Bruto, di Seneca. Né poteva avvenir diversamente. Nella disputa sulla precedenza tra i moderni e gli antichi, Fontenelle diceva che gli antichi apparivan superiori a noi sol perché il, tempo, distruggendo tutte le loro