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forze che non inutilmente avea create, lasciò in arbitrio degli uomini l’acquistar quelle virtú che li rendessero a lui somiglianti: ecco la seconda etá. Lo stesso Minosse non imparò la virtú dal padre<0. È necessario acquistarla questa virtú, bramarla ardentemente, conoscerne il pregio e l’utilitá, sentirla per quell’esperi mento che persuade piú della ragione, avvezzarsi al giusto per timore dell’ingiusto. I vizi di pochi servono all’ordine generale sia per ridestare ne’ molti piú vivo il desiderio della virtú, sia per ridonare ai buoni quella fortezza, eh’è nel tempo istesso la virtú della quale gli uomini ed hanno maggior bisogno e mancano piú facilmente, e la di cui mancanza moltiplica e rende piú audaci gli scellerati. Talora, simili alle tempeste, che turbano il corso delle stagioni, ma avvezzan gli uomini a maggiore provvidenza, onde poi la vita si rende piú agiata e sicura, i vizi de’ pochi rendono i molti piú cauti, e sono occasioni di ottime leggi, per le quali minorasi il numero e rendonsi piú rari i delitti. Vedi i popoli spesso afflitti da’ loro vizi; e, se i mali che soffrono non bastano ad emendarli, li vedi talora precipitati nell’ultima rovina, quasi per rigenerarli, poiché si è tentato inutilmente di emendarli. Vedi le inondazioni di que’ popoli che la natura confina nelle estremitá della terra, quasi in riserba per le sue grandissime e non ordinarie operazioni. Pare che gl’iddíi abbian formati gli animi degli uomini simili al cielo che abitano, alla terra che coltivano. Nelle regioni temperate trovi numero maggiore di affetti e d’idee; quindi maggiori mezzi di civiltá per lo stesso numero delle passioni che si temperano a vicenda, maggior moderazione di ragione; piú arti, piú industria, viver piú libero, piú lieto e piú beato. Vedendo un tal popolo, ti par di vedere una delle belle campagne di Grecia, di Sicilia o d’Italia ne’ bei giorni di primavera, quando la natura par che vi abbia raccolte tutte le sue infinite varietá: la neve, la pioggia, la nebbia, il vento, il calore, la luce, tutto vi si alterna a vicenda, in modo che di ogni cosa vi sia tanto che basti a dilettare e non mai tanto che possa (1) Platonr, ap. Stobákum.