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xv - secondo ragionamento di archita 87

quali finiranno coll’esser discacciati. Ed allora vorrei domandare se colla loro imprudenza abbian prodotto piú bene o piú male. Ma errano egualmente i potenti, i quali vietano i buoni studi, ed impediscono cosí tutti quegli aiuti che le arti utili potrebbero ricevere dalla geometria, dalla meccanica, dall’astronomia, perché temono che gli studi di tali scienze, sempre ristretti tra pochi, non déstino nelle menti del volgo dubbi distruttori di quelle opinioni, che essi reputano fondamenti di ogni ordine pubblico e di ogni loro potere. Stolti! non sanno che il loro timore può solo rivelar quei rapporti tra le cose che il volgo da se stesso non scoprirebbe in eterno; cd ignorano che tra tutte le cagioni di disordini pubblici le piú potenti sono quella ignoranza che produce la miseria, e quella miseria che genera la disperazione!

Ciò, che veramente è necessario in una cittá, è che ciascuno stia al suo luogo, cioè che sappia lavorare e che ami l’ordine. Ad ottener l’uno e l’altro, sono necessari egualmente la scienza e la subordinazione. Pittagora voleva dal popolo il massimo rispetto per gli dèi e dai suoi discepoli il massimo rispetto per i maestri. — Credi tutto ciò che ti vien dagl’iddii: — sí diceva al primo. Ai secondi: — Egli lo ha detto. — La necessitá del rispetto scemava a misura che cresceva l’istruzione; e veniva finalmente per i discepoli il giorno in cui era loro permesso di veder «Pittagora a viso scoperto»1. Queste parole indicano «vedere scoperta la veritá».

Pittagora non amava che i suoi seguaci disputassero in faccia al popolo sulla loro dottrina. Il popolo, o presto o tardi, dice: — Questi, o imbecilli o impostori, voglion istruir noi, ed intanto non sono ancora d’accordo tra loro!

— Non perdete la stima del popolo — diceva Pittagora, — se volete istruirlo. — Il popolo non ode coloro che disprezza. Di rado egli può conoscer le dottrine, ma giudica severissimamente i maestri, e li giudica da quelle cose che sembrano spesso frivole, ma che son quelle sole che il popolo vede. Che

  1. Brukero, Buonafede.