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XV - SECONDO RAGIONAMENTO DI ARCHITA 83

i popoli tutti d’Italia lo facevan prima di lui. — Non portare anelle strette. Non iscolpir l’immagine di Dio suH’anello. — In molti luoghi questo prima di Pittagora si praticava1.

Se Pittagora questi proverbi li avesse inventati egli stesso, sarebbe simile a quei tanti belli spiriti, i motti de’ quali, ripetuti con un poco di piú un poco di meno di plauso, per un piú lungo o piú breve tempo, finiscono inutili al popolo, obbliati dai savi e raccolti in qualche ricettario noioso, destinato da qualche amanuense a dare le false apparenze dello spirito a coloro ai quali la natura non ha dato spirito vero. Credetemi, amici: l’inventar tali cose non è difficile. Scoprirli in un popolo, riconoscerli, servirsene come di addentellato per l’edifizio che si vuol costruire, e per tal modo render questo eterno, piantandolo sulla stessa mente, sullo stesso cuore, sulla stessa vita di un popolo: ecco l’opera del genio.

Non nego che talvolta vari di questi proverbi sono stati usati per indicar doveri piú sublimi de’ doveri popolari, e si è creduto leggervi un’istruzione per tutt’altri che pel volgo. Ma la virtú de’ savi e quella del volgo han molte parti simili, ed in conseguenza possono aver molti precetti comuni. Il saggio deve far piú del volgo, ma lo scopo a cui tendono è lo stesso; e quello stesso proverbio, che ricorda al volgo il dovere di non far male, impone al savio quello di fare anche il bene.

Hanno questi proverbi, in bocca di riformatori, grandissimi vantaggi. Sono come monete d’oro, le quali in piccolo volume racchiudon molto valore. S’intendono da tutti, si rammentano da tutti, danno luogo a diverse interpretazioni; e cosí ciascuno vi si adatta. Dopo una etá, le idee degli uomini debbono per necessitá cangiarsi. Se voi avrete dati precetti chiari, rigidi, inalterabili, sará necessitá o cangiarli per adattarli ai nuovi costumi, o vederli rotti. Il primo non sempre si può fare; il secondo produce spesso il massimo de’ mali, perché peggio di tutti i precetti anche cattivi è il non averne nessuno. Con

  1. PLUTARCO, Quaestiones Romanae. Sull’interpretazione de’ proverbi pitagorici e sulla loro esistenza in Italia, vedi l’Appendice I.