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— Lo saprai. Dimmi qual è la tua patria. — Ebbene, te lo dirò dunque. Io sono Nicerato figlio di Nicia di Atene. — Tu dunque sei concittadino di Parrasio, il quale, sebben nato in Efeso, pure ottenne la cittadinanza vostra. Io son concittadino di Zeusi. Or sappi che io non ho prestato mai fede a quello che gl’invidi di Parrasio han detto, cioè che egli, per dipinger Prometeo, avesse fatto morir fra i tormenti un servo (O. La nazionale rivalitá non mi ha sedotto, ed ho detto tra me: — Parrasio non avea bisogno di questo mezzo tanto crudele per dipingere Prometeo; né Fidia ebbe mestieri di veder Giove e Minerva: se non avesse potuto scolpirli senza vederli, non li avrebbe scolpiti giammai. — Perché non sei anche tu egualmente giusto? Che mi narri tu di una tela dipinta, che abbia potuto ingannare un uomo, ed un uomo, per Giove! qual era Zeusi? Di uva dipinta, che abbia potuto ingannar gli uccelli? Credimi: gli uccelli sono meno insensati di coloro che prestan fede a tali favole, meno goffi di coloro che le ripetono. Io ho conosciuti ambedue, Parrasio e Zeusi. Tu non eri ancora nato, o giovane, quando questi due grandi onoravano la terra. Si poteva dire: — Niun altro è piú grande di loro; — ma tra loro non si poteva dire: — Questo è piú grande. — Hanno molti rimproverata a Zeusi la sua superbia. Offendeva l’orgoglio degli artefici minori quel suo mantello di porpora, sul quale portava ricamato a lettere d’oro il suo nome. Offendevano quelle iscrizioni, che soleva mettere sotto i suoi quadri, ora dicendo: Fia chi l’invidi piú che chi lo imiti; ora: Chi si tien giunto di nostr’arte al sommo, mostrandoi vinca: io non sarò il secondo. (1) Questo fatto è narrato da Seneca retore, il quale ne usa come di un tema per una controversia, nella quale non puoi decidere se era piú imbecille chi accusava Parrasio, chi lo difendeva, chi lo giudicava, o il retore che con tali pensieri e tali temi pretendeva insegnar l’eloquenza! Vedi Seneca, Controversiac, V.