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— Divino Zeusi! — esclamava Nicomaco, che era con noi — divino! — E qui si fermava ad indicarti ad una ad una tutte le bellezze di quel quadro, e ti forzava a seguir le sue osservazioni; e s’indispettiva se tu non mostravi trasporto eguale al suo; e poi di nuovo esclamava: — Divino! (0. — Eravi uno straniero, figlio di uno de’ piú ricchi mercatanti di Cartagine, il quale gli disse: — In veritá, io la trovo bella; ma non ci veggo poi tanti miracoli. — Non ce li vedi? — riprese Nicomaco — non ce li vedi? Oh, se tu avessi i miei occhi! Pigliali, e parratti una dea. — Il povero cartaginese voltò le spalle e parti. Ma egli piú non era tra noi, era giá alle porte del tempio, e Nicomaco ancora sbuffava, e si volgeva indietro, e lo fulminava cogli occhi, e gridava: — Vilissimo mercante di cacio! — Queste parole, l’azione, i gridi di Nicomaco fecero radunare intorno a noi moltissime persone che eran nel tempio; ed ognuno, che veniva, dimandava a Nicomaco la ragione di tanta ira; ed egli, come suole avvenire, narrandola, l’accresceva. La sorte di coloro, che sentono molto entusiasmo, è tale, che o lo comunicano agli altri o destan riso. Tra noi eranvi molti giovani, i quali amavano piú di sollazzarsi che di ammirare il quadro; ed incominciarono a stuzzicar Nicomaco ed a contraddirgli, onde dargli occasione di parlare. — Zeusi era certamente un valentissimo pittore — gli disse uno. — Perché non dici «divino»? — rispose Nicomaco. — Sia «divino», come tu vuoi. Se però diremo Zeusi «divino», qual chiameremo Parrasio, che vinse Zeusi? — Qual è la tua patria? — domandò allora Nicomaco. — Tu al certo non sei nostro italiano. — Non lo sono; ma non vedo a che giovi il saper la mia patria. (1) Di questo Nicomaco, grande ammiratore di Zeusi, parlano Plinio ed Eliano. Non ci dicono la sua patria. Egli soleva dire a coloro, i quali non ammiravano abbastanza le bellezze del quadro di Elena: — Miratela cogli occhi miei. —