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— Tu vuoi dire piuttosto Apollo iperboreo. Sappi ch’io sono crotoniata vero, e mi glorio di credere ciò che credevano i miei maggiori. Non mi ha potuto mai entrare in testa ciò che dicono oggi taluni giovinastri, cioè che Pittagora sia stato un uomo. Era un dio, o mio figlio, un dio sotto apparenze mortali, quello stesso dio che noi veneriamo sotto il nome di Apollo iperboreo (0. — Ecco una terza opinione sopra quest’uomo celebre — diss’io tra me stesso, ricordandomi il ragionamento di Platone: — alcuni lo voglion uomo, questi lo vuole dio, molti né dio né uomo, fí pur cara occupazione quella di paragonar le varie opinioni degli uomini!... E poi da tanti paragoni qual conseguenza se ne deduce?... — Queste ed altre simili riflessioni io faceva tra me e me, mentre egli mi diceva che, essendo io uno straniero, ed in conseguenza curioso, e non avendo egli quella mattina nulla di piú grave che Io impedisse, voleva condurmi a vedere il tempio delle muse. Vi andiamo. Era poco discosto dal fòro. Non lo descrivo, perché simile a tutti gli altri: è però molto piú ampio. Egli mi fece osservar tutto, tutto, tutto... Quando fummo di nuovo sulla soglia, si fermò, sospirò e disse: — In questo luogo sono state riunite una volta fino a tremila persone (*); ed oggi... — e sospirò un’altra volta — appena ve ne troverai tre. — Io amo osservar le cittá con un conduttore. Se son solo, non veggo che pietre sopra pietre, simili ad altre pietre messe in un altro sito sopra altre pietre, o costumi i quali rassomigliano ad altri costumi. Se io leggo la descrizione di ciò che fanno gli ateniesi, e la paragono alla narrazione di ciò che fanno i crotoniati, e poi scompongo l’una e l’altra, ritrovo in ambedue gli stessi elementi: da per tutto e sempre gli uomini hanno mangiato, edificato, arato, navigato; da per tutto e sempre le stesse cose. E la mia mente si trova in mezzo ad un mucchio immenso di bagattelle, delle quali non vede né i (1) Aristotele, presso Eliano, Variarum hisloriarum, II, 26. (2) Giamblico.