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I

Di Cleobolo

[Ripensando alla patria lontana — Teoria di Socrate sui viaggi confutata — Utilitá vera dei viaggi: scorgere che la legge della natura è una, inesorabile, immutabile — Arrivo a Taranto.]

. . . . . . . Giá oltrepassate le ardue cime del promontorio lapigio e le basse terre de’ salentini, un fresco venticello di levante spingeva la nostra nave verso il fondo di quel seno che prende il nome da Taranto. I marinari tutti dormivano; il pilota vegliava sul timone; io e Platone sedevamo sulla poppa taciturni. Il silenzio universale che regnava intorno a noi, rotto soltanto da quel rumore cupo ed uniforme che ha il mare quando non è agitato da tempesta; l’immensità di un orizzonte che non aveva limiti, ed in cui il contrasto dell’ombra della notte che si ritirava e della luce, ancora incerta, che in taluni punti la fendeva, in altri appena la diradava, e che riflettevasi in mille modi diversi or dalle nuvole, or dall’onda, or dalle cime de’ monti: tutto ne allettava a quella dolce estasi, che forma la parte piú deliziosa della nostra vita.

Non saprei dirti che mai volgesse in mente Platone. I miei pensieri erano cogli astri, che giravano maestosamente taciturni per la vòlta azzurra immensa de’ cieli. Io vedeva l’Orsa giá giá tuffarsi nell’onda, e Lucifero, quasi ancora stillante di rugiada marina, seguir i lenti passi delle Pleiadi, le quali, ritornando nel mare, ridestano l’agricoltore alle nuove opere del giorno vicino.

— A quest’ora — dissi io a me stesso — in Atene l’Orsa non si vede piú: l’agricoltore ha giá aggiogati i suoi bovi; in