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contenti se non ripetono a tutto il mondo di averlo, finché la vanitá istessa o li costringa a tradire il loro dovere, o, se conservano ancora qualche virtú, li esponga i primi alla persecuzione dei potenti; persecuzione, che le loro istesse sciagure fan divenire piú feroce, perché accrescono negli scellerati li sospetti e ne’buoni l’indignazione. Non si tratta allora di conservare un segreto, ma di opporsi ad una persecuzione. Tale è la storia di ciò che è avvenuto in Italia per la persecuzione di Dionisio. Tu vedrai un giorno, o Cleobolo, sulla strada che conduce a Locri il sepolcro di quei dieci pittagoristi, i quali furono ivi uccisi dai soldati di Dionisio, e di quella generosa Timica, la quale, messa per suo ordine tra i tormenti, si tagliò coi propri denti la lingua, onde il dolore non la facesse cadere in qualche viltá, che potesse divenir funesta ai suoi compagni (0. Ma, parlando di Dionisio, non vi è necessitá ricorrere a tutte queste ragioni. Egli ricercò l’amicizia de’ pitagorici, finché questi furon potenti ed egli fu debole; cercò in essi il sostegno al suo nascente impero, ambi l’amicizia de’ sapienti, perché ne ambiva la fama e credeva potere per essa aggiungere alla forza delle armi anche quella dell’opinione. Quando, padrone della Sicilia, si credette forte abbastanza per tentare la conquista dell’Italia, incominciò ad odiare la sapienza e l’amore che per la patria avean coloro, i quali, se fossero rimasti arbitri delle cose, non gli avrebbero permesso mai né di dominare né di turbare queste regioni. Con mente e cuore diverso, Anassilao, nel tempo di un’altra sollevazione destata contro i pittagorici, ne fu il piú caldo e generoso difensore. Non so se Anassilao sia tanto noto in Grecia quanto Dionisio: egli però è tanto piú degno di esserlo quanto piú utile è pel genere umano moltiplicare, eternare gli esempi delle virtú che quelli de’ vizi. Reggio era, al pari di Siracusa, turbata da sedizioni intestine. I grandi non avean temperanza nell’uso del loro potere; (i) Barthélemy.