E però, Socrate, da’ retta a noi, alle tue nutrici1: de’ figliuoli, della vita e d’ogni altra cosa che sia nel mondo, non volere tu far più conto che del giusto2; acciocchè, disceso nell’Ade, tu abbi tutti questi argomenti da esporre in cospetto di coloro che tengono laggiù imperio3. Perchè, quassù4, egli è palese e a te e ai tuoi, che ciò che tu intendi fare, non è il tuo meglio5, e non è la cosa più giusta nè più santa; e nè anco sarà il tuo meglio laggiù6. Sicchè se tu ora muori, muori ingiuriato, non da noi leggi, ma sì dagli uomini; ma se tu fuggi, pagando così vergognosamente ingiuria con ingiuria, male con male, i patti e gli accordi da te fermati con noi rompendo,



  1. È la conclusione, amorosa, materna, di queste sacre Leggi.
  2. Come sempre aveva insegnato e professato Socrate.
  3. «I veri giudici, i quali si dice che anche là giudicano; Minosse e Radamanto ed Eaco e Triptolemo, e tutti gli altri semidei i quali in vita loro furono giusti». Apologia, cap. XXXII.
  4. In terra, dove ancora è Socrate.
  5. Se il meglio per l’uomo è la virtù, la giustizia: come Socrate ha sempre ritenuto.
  6. Perchè i giudici d’inferno, quando tu apparirai, qualche anno più tardi, dinanzi a loro, ti vedranno curvo sotto l’ingiustizia che avrai commesso.