da campare più poco, osasti così desiderare avidissimamente di vivere1, passando sopra le leggi più sante, non te lo dirà nessuno? può essere, se tu a nessuno non farai noia; ma se no, Socrate, oh quante ne sentirai! delle belle! delle cose indegne fin di te stesso!2. Tu vivrai, dunque, servendo a tutti e chinando il collo3. E come te la passerai in Tessaglia? satollandoti ai banchetti di questo e di quello, come se tu fossi andato colà a posta, per mangiare4. E quei bei discorsi su la giustizia, su le altre virtù, dove sono andati?5. Ma, vuoi campare per via dei figliuoli, per nutricarli e ammaestrare. Che? in cotesta maniera li nutricherai tu e ammaestrerai, me-



sima dei racconti della fuga, tra i nuovi ospiti che ridono forte.

La fuga è immaginata, mi pare, un po’ sul tipo di quella famosa d’Ulisse dall’antro di Polifemo: se non aggrappato al vello d’un montone, Socrate fuggirà «coperto di alcuna pelle» e travisato.

E giunto tra gli ospiti tessali di Critone, quella gente grossa e ignara di civiltà si divertirà a farsi raccontare la scena della fuga: e Socrate, per compiacerla, a dir quei particolari ridicoli, a uno a uno: tra le grandi risa di duella gente briaca.

  1. un motivo già accennato nell’Apologia. Perchè mai Socrate non si propone come pena l’esilio? «Ma dovrei esser accecato dall’amore della mia anima, o Ateniesi....» (Cap. XXVII).
  2. Quali nemmeno la tua degradazione meriterà così sanguinose.
  3. Fuggitivo come uno schiavo, tu non potrai sostenere lo sguardo di chi ti gridi in faccia la tua onta.
  4. Conoscerai la vita dell’uomo servo della sua avidità e dei suoi piaceri.
  5. Tra gente rozza e materiale, tu stesso privo della tua spiritualità d’un tempo, sarai l’applicazione a rovescio di quei tuoi discorsi su la virtù, che proclamavi supremo bene, anzi unico bene vero.