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de’ giovani e della gentuccia ignorante1. Che? fuggirai le ben governate città e gli uomini costumati? Ma allora che te ne fai tu della vita? O t’accosterai a loro e appiccherai discorsi come uomo sfacciato? Ma quali? quelli che facevi qua, o Socrate, cioè essere la virtù e la giustizia e le costumanze e le leggi cose da tenere in grandissima riputazione? e non credi che allora il fatto tuo sarà una vergogna? Bisogna bene che tu lo creda2. Ma tu! ti leverai di questi luoghi; anderai in Tessaglia, presso agli ospiti di Critone: imperocchè ivi è molto grande scompiglio e sregolatezza; e volentieri ti udirebbero forse raccontare in qual maniera ridicolosa tu sii fuggito dalla carcere imbacuccato in un manto, o coperto di alcuna pelle, o in alcun’altra forma camuffato, come sono usati di fare quelli che scappano; e, di più, con la faccia disfigurata3. Ma che tu, vecchio a cui resta
- ↑ Ecco un’altra preoccupazione di Socrate: fuggendo, divenendo ingiusto, quella sentenza, ora iniqua, degli Ateniesi, diverrà, subito equa, meritata, adeguata. E Socrate vuole che i suoi giudici rimangano sotto il peso della propria ingiustizia: non vuole liberar loro rendendo ingiusto sè. Nell’Apologia ha rilevato che, con la sua condanna, le parti eran fatte: «E io me ne vado, condannato da voi a essere morto; costoro, condannati dalla verità a essere malvagi e ingiusti; e io accetto la pena mia, e questi la loro. Dovea forse essere così, e credo che ciascuno ricevuto ha sua misura». (Cap. XXIX).
- ↑ Gli argomenti ormai s’affollano alla mente di Socrate. «Andrai tra uomini sfrontati? e che dirai loro? le lodi della virtù? e, più loderai la virtù, più, implicitamente, condannerai te stesso, fuggitivo ed ingiusto».
- ↑ La commossa fantasia di Socrate già, gli presenta le due scene: quella, buffonesca, della fuga, e quella, trivialis-