Vedi, Socrate: son queste dunque, te lo diciamo noi, le colpe che graveranno sopra te, se fai quello che tu hai in mente; e non graveran meno, ma più che non su qualsivoglia altro Ateniese1. E se io rispondessi: perchè? Perchè (questo mi rinfaccerebbero, a ragione forse) io più che gli altri mi fui accordato con loro in questi patti. E abbiamo grandi prove, direbbero, che ti piacevamo noi e la città; imperocchè non ti stavi in questa città più che niuno ateniese non facesse giammai, se ella non faceva più a te che agli altri2. In vero, non sei mai uscito fuori della città per la bramo-



  1. Perchè non s’allontanò mai da Atene, dimostrando così che Atene e le sue leggi gli piacevano più d’ogni altra cosa al mondo.
  2. Fedro, nel dialogo omonimo, dice a Socrate: «Tu, o maraviglioso, mi pari strano ora; che proprio m’hai, come di’ tu, l’aria di forestiero che va dietro a sua guida. Che non pure tu non ti muovi dalla città per estranei paesi, ma non esci, mi pare, nè anche un po’ fuor le mura. — Socrate. Perdona a me, buon uomo: io son un che ha amore d’imparare; or i paesi, gli alberi, non mi vogliono insegnar nulla; gli uomini, sì. E tu, mi pare, hai ben trovata la medicina per invogliarmi a uscire: perchè come le bestiole affamate se le traggon dietro, sporgendo con la mano a esse un ramoscello verde, o vero alcun frutto; così, stendendo tu a me quel libruccio lì con la orazion che vi è dentro, vedo chiaro che mi menerai in giro per tutta l’Attica e dove che tu voglia» (V, 230 c-e, trad. Acri).