com’era incantato a guardarti come dormivi quieto; e non t’ho svegliato a posta acciocchè ti passasse il tempo, quanto esser può, dolcemente. E tante volte, anche prima, considerando io la tua natura, ho detto nel cuore mio: Come è felice! Ciò dico specialmente ora in questa tua sciagura, vedendo come la sopporti in pace, con una faccia serena.

Socrate. Eh! Critone, sarebbe una stonata a pigliarsi collera a questa età, se già si ha a morire1.

Critone. Altri pure ce n’è, Socrate, persone di anni come te e disgraziati2, ma l’età non toglie che non si accorino della lor sorte.

Socrate. È vero. Ma perchè sei venuto a così buona ora?

Critone. O Socrate, per arrecarti una dolorosa novella; a te no, lo vedo3; ma dolorosa e nera a me e a tutt’i tuoi amici: per me io sento che non ci reggo.



  1. Socrate non ha nessuna voglia di vantarsi. All’amico suo, così devoto ma così limitato, dice la ragione più piana, più facilmente comprensibile: «A settant’anni, è ora di morire; a che dolersi d’anticipare un po’ il giorno?» Critone non s’appaga: «Altri, alla stessa età, si accorano». E Socrate risponde dolcemente: «È vero»; e non rileva per nulla che appunto perché non è come gli altri, egli è così sereno mentre gli altri smaniano. Tutto questo, poiché Critone da sè non l’intende, resti pure non capito. Socrate troverebbe così sciocco vantarsi!
  2. Socrate non si riteneva punto disgraziato. Disgraziato, per lui, era chi faceva male, non chi ne pativa. Ma Critone giudicava all’ingrosso. A Socrate toccava di dover morire; dunque era disgraziato.
  3. Anche Critone si convince - perchè proprio lo vede - che per Socrate non è un dolore morire.