così — ed è questo il risultato di tutta la ricerca — non c’è potenza di fondazione, di costruzione, di stabilimento d’uno Stato se non appunto nell’atto di rivedere il passato, per continuarlo rinnovandolo.

Dipende poi dalle contingenze storiche che la potenza di revisione, di controllo, di promovimento, di rinnovazione, rimanga, nello Stato, presso il governo, che conserva lo Stato; o che, per pochezza d’uomini, il governo si lasci sfuggire l’iniziativa della perenne revisione dello Stato, e abbandoni ai partiti rivoluzionari la funzione e il merito del controllo e della critica. I governi veramente saldi son quelli che possono concedersi il lusso di non attender dagli altri la critica delle azioni proprie e dei propri predecessori, perchè bastan da sè a vedere quel che è fallito, e va rifatto. Ma quando le contingenze storiche menano lo Stato a sdoppiarsi — e lo sdoppiamento non può mai esser completo, se no lo Stato va definitivamente in rovina — , quando nello Stato chi conserva non sa criticarsi, e chi critica non vuole o non sa costruire, pare, ripeto, che tutta la conservazione si polarizzi nella parte che afferma lo Stato, e tutta la critica nella parte che nega il presente Stato. In realtà la critica urge con un suo Stato, e cozza contro lo Stato tramandato; e lo Stato tramandato è ridotto alla pura funzione conservatrice, nel tremore d’ogni innovazione, perchè assediato dal nuovo Stato germinale che gli mozza il respiro.

In Socrate, e ai suoi tempi, s’era appunto prodotto uno sdoppiamento — analogo a quello di cui parla Platone dei due Stati coesistenti in una sola città. Chi governava — ed era il «popolo» — mandava, cieco e folle,