criticate. Giacchè l’averle criticate non lo scioglie dall’obbedienza verso di esse: anzi per esse, nonostante il male che vi ha notato, Socrate ha sempre quella reverenza affettuosa che si ha per quello che è profondamente caro.

Di qui il problema che nasce in margine al Critone platonico, pur così limpido e scorrevole com’esso è: qual è il rapporto tra i due elementi, obbedienza allo Stato, fino a lasciarsi sopprimere, e critica allo Stato, fino a desiderare di rifarlo interamente.

In Socrate — e massimamente nella risoluzione che il Critone glorifica — i due elementi coesistono ingenuamente. Egli ha sempre cercato, con la sua critica, di ricondurre lo Stato alla semplicità, alla dirittura, all’assennatezza d’un tempo; ma la sua non è stata mai una rivolta; non s’è mai sentito lontano, per la sua critica, dalle leggi patrie; anzi le ha tanto più assiduamente criticate, quanto più s’è sentito legato ad esse, così legato da non potersi rassegnare a lasciarle tralignare. Opera di attaccamento profondo, di geloso amore, la critica incessante. Sicché l’obbedienza, al comando di morire non è una disposizione di spirito, che sopravvenga a quella della critica, la vinca, e chiuda la vita di Socrate in maniera diversa da come s’è svolta. Socrate è stato sempre pio verso la sua città: l’ha sempre amata tanto, da non desiderare nemmeno di visitare paesi stranieri; e come sol per amore l’ha criticata, così, pel medesimo amore filiale e devoto, ora lascia, volontariamente, che l’ordine di morire si compia.

Ma i due motivi — obbedienza allo Stato e critica