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l’ha deciso da gran tempo; la sua fermezza presente sta solo nel non abbandonare, sotto l’intimidazione del pericolo, il suo antico convincimento e la sua risoluzione. E poiché gli Dei vogliono ch’egli muoia, non si leverà, d’arbitrio, a frustrare il loro volere: obbedirà, e morrà.
Socrate si è sempre sentito, come dice nel Fedone, «cosa degli Dei». E ha sempre agito come gli Dei hanno suggerito d’agire. Anzi, come i suoi contemporanei andavano a Delfo o a Dodona a consultar l’oracolo, così egli ha sempre consultato il suo oracolo interiore, in ogni momento importante della sua vita. E gli Dei non l’hanno lasciato mai privo di questa assistenza paterna, ispirazione, guida, norma delle azioni. Gli hanno inviato sogni, visioni, gli hanno messo nell’animo una repugnanza, istintiva e risoluta, per tutto ciò che potesse nuocergli: gli hanno sopra tutto concesso una coscienza, sempre vigile a trattenerlo, pronta sempre a rispondere alle sue domande quando fosse ansioso d’orientarsi, di veder chiaro, d’essere illuminato su la via migliore da seguire. E come l’universo intero è condotto dagli Dei nella maniera per esso migliore, così anche l’individuale esistenza di Socrate è stata governata sempre dal sacro volere degli Dei. Egli vi si è sempre abbandonato fiducioso: ben conscio di quanta luce gli derivasse da ogni pronunciarsi del suo dèmone interiore. Al volere divino si abbandona anche ora: solo gli Dei sanno se la dimora all’Ade non sia miglior sorte della permanenza in terra. Ma se essi han disposto la sua morte, la loro volontà deve compiersi.
Questo senso religioso, che ha la risoluzione di Socrate