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d’uno svolgimento principalmente artistico dei suoi temi.
Giacchè il Critone ha appunto questo carattere: non indaga, espone. Muove dal concetto, ch’era tutto Socrate, che l’ingiustizia è peste e rovina dell’anima, e va tenuta lontana, anche se rimuoverla ci costi la morte: e questo motivo lascia che circoli per tutto il dialogo, alimentandolo e ispirandolo in ogni sua parte. Ricerca, e molto meno travaglio, non ce n’è.
C’è, in compenso, il quadro, o, se si vuole, il bozzetto. Non siamo poi lontanissimi dall’età del quadretto, dell’«idillio»; anche il Critone è una sveltissima e perfetta novella dialogata, una «scena», cominciata, condotta, conchiusa con un’arte che si direbbe consumata, se non fosse felicissimamente spontanea e istintiva.
La «macchietta» di Critone è un capolavoro di caratterizzazione comica. Platone è veramente fratello dei grandi sbozzatori di caratteri tragici e comici. Quella stessa arte: e, forse, più fine, quanto più discreta.
Critone, nel dialogo, non si vede: si ode solo. Platone lo descrive facendolo parlare. Anzi, facendolo argomentare e ragionare. E argomenta e ragiona in maniera così singolare, ch’egli assume, dinanzi al lettore, l’eterna parte del Sancho di fronte a Don Quixote, cioè del buon senso di fronte al genio e all’eroismo.
Platone non fa tacere Critone se prima la sua loquela non l’ha fatto tutto manifesto. E quando Socrate prende a persuaderlo, parlandogli per via d’esempi, d’immagini e di paragoni — come facciamo talvolta coi contadini — , Critone, che si vien persuadendo, assente in una