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capitolo sesto 387

tativa: si dispose a partire, ma voleva menar seco il fiore delle sue genti. Sull’osservazione di Ojeda, che non si fanno visite alla testa d’un esercito, rispose alteramente, non essere cosa degna del «Signore della casa d’oro» viaggiare con minore scorta. Ojeda mostrò di arrendersi a questo motivo, e si posero in cammino. Quando il corteo giunse al fiume Yaque, Ojeda trasse dalla sua valigia delle manette d’acciaio molto belle, la cui lucentezza conquise il cacico. Caonabo chiese a qual uso servissero: Ojeda gli rispose ch’erano braccialetti di cerimonia, che venivano dal Jurey di Biscaglia, e che i sovrani di Castiglia mettevano nelle grandi occasioni, e nelle danze solenni: proposegli di adornarsene, e di mostrarsi agli occhi del suo esercito, montato sopra il suo cavallo, come un re del Jurey. L’idea di farsi vedere al suo popolo con quell’adornamento lo trasportò di gioia. Non potendo sospettare di correre alcun rischio in mezzo al suo esercito, da parte di soli dieci cavalieri, allontanate alquanto le sue genti, fece un bagno, indi ornandosi delle brillanti manette, montò a cavallo, il groppa all’Ojeda, coi piedi e le mani strette di quegl’ornamenti d’acciaio. Ojeda fece allora volteggiare il suo cavallo, allargando sempre più il circolo delle sue prove, e gl’Indiani, com’era naturale, indietreggiavano davanti a quel galleggiare del cavaliero. Giunto sul lembo della foresta, Ojeda prese a galoppare: i suoi cavalli lo raggiunsero a briglia sciolta: allora gli Spagnoli, sguainando le loro sciabole, minacciarono Caonabo di metterlo in pezzi se faceva un moto, o metteva un grido: ed ei fu costretto a lasciarsi legar sodamente con funi dall’Ojeda, e incontanente i cavalieri partirono velocissimi alla volta dell’Isabella.

Ell’era distante ancora più di cinquanta leghe, e per cansare diversi villaggi indiani, si dovevano fare lunghi giri: bisognava vegliar sempre attenti su tutti i moti del prigioniero. l rapitori dovettero passare a nuoto torrenti e fiumi; traversare paludi, valicare montagne rotti dalla veglia e dalle fatiche, e rifiniti della fame. l cavalli erano estenuati. Finalmente giunsero all’Isabella. Ojeda teneva sempre in groppa il suo prigioniero legato. Questo piccolo stuolo giunse dinanzi alla casa del governo,