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350 libro secondo


§ II.


L’ammiraglio scelse fra le cinque navi rimase nel porto di Isabella, le tre caravelle che facevano men per acqua, la Nina, il San Juan, la Cardera, montate da equipaggi da lui conosciuti. La Nina apparteneva ad Alonzo Medel di Palos: i suoi piloti, i suoi marinai, tutti, sino ai mozzi, erano di Palos o dei dintorni. La Cardera apparteneva ad un di Palos, Cristobal Perez Nino. Il San Juan aveva, per dir vero, a padrone un di Malaga, Alonzo Perez Roldan, ma l’equipaggio era formato anch’esso di genti di Palos, di Moguer e delle vicinanze. Tutti questi marinai conoscevano da gran tempo il Guardiano della Rabida: avevano assistito allo sbarco trionfale di Colombo, e lo seguivano fidenti alla scoperta.

L’ammiraglio pose la sua bandiera sulla Nina, quella piccola nave che lo aveva ricondotto in Europa; e mutandole il nome la chiamò Santa Clara in memoria della prima figlia dell’Ordine Serafico: menava seco uno Stato maggiore, piccolo di numero, ma scelto, l’astronomo frate Juan Perez di Marchena, il medico in capo dottore Chanca, un Padre della Mercede, che installò cappellano della nave, il piloto geografo Juan de la Cosa, il piloto Francesco Nino, il notare reale Fernando Perez de Luna, Ximenes Roldan, e il suo fedele scudiere Diego Mendez. I dì 24 aprile l’ammiraglio uscì dal porto dell’Isabella, si diresse verso l’ovest, e si ancorò dinanzi alle terre di Guacanagari, sperando che il cacico verrebbe a trovarlo. Bramava tanto maggiormente un tal rannodamento di amicizia, in quanto la munificenza ospitale del cacico poteva giovar grandemente i coloni minacciati di carestia; ma, a vedere le caravelle, Guacanagari era fuggito nel più fitto delle foreste. Quell’allontanamento venne di bel nuovo a confermare i sospetti destisi contro di lui. Nondimeno l’ammiraglio non volle neppure per ciò condannarlo. Il cacico aveva forse temuto che si volesse rapirgli Catalina, di cui i medesimi spagnoli avevan notata la selvaggia eleganza; ed era andato ad occultarla nel più profondo de’ suoi boschi.