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342 libro secondo


Il sabato 15 marzo, bisognò aprir di nuovo un passo alla cavalleria. La dimane il corpo di spedizione entrò le gole boschive delle montagne, e salì con ardore sulle loro scoscese vette. A poco a poco la vegetazione diventava meno copiosa. Sui margini verdeggianti de’ ruscelli e de’ fiumi non si vedevano altro che pini e palme: altrove il suolo disuguale non offriva che ondulazioni penose, rotte, e mescolate da scogli. Tuttavia gli Spagnoli si allegravano, perchè nel fondo di tutti i ruscelli notavano particelle d’oro, che facevano manifesta la vicinanza delle miniere.

Fra via, l’ammiraglio trovò piante sconosciute, raccolse ambra, e scoprì una vena metallifera annunziante la presenza del rame: risolvette di non ispingere più avanti l’escursione, ma di assicurarne primieramente i risultati erigendo un fortino che proteggerebbe le comunicazioni fra le montagne di Cibao e il porto dell’Isabella. Scelse all’uopo un luogo vantaggioso sopra un’eminenza di scogli, di cui l’Esaque dalle pure e fresche acque formava quasi il ricinto e la naturale difesa. Nato ingegnere, l’ammiraglio improvviso una rôcca in quel luogo. Dall’alto delle mura, di legno e di terra, la vista spaziava sopra deliziosa prateria: nominò questo forte San Tomaso, a motivo dell’incredulità degli Spagnoli, i quali non vollero credere che vi fosse oro fino a che non l’ebbero essi medesimi raccolto in fondo ai fiumi.

Disegnata ch’ebbe la strada di unione fra l’Isabella ed il forte San Tomaso, Colombo pose in questa piazza cinquantasei uomini scelti e alcuni cavalli sotto il comando di Pietro Margarit, cavaliere di San Giacomo, padre di famiglia, privo di beni di fortuna, ch’egli aveva raccomandato ai Monarchi: la qual circostanza è da notare, perocchè questo ufficiale ingrato e ribelle diventò poscia una delle principali cagioni delle sciagure della Colonia e dei crucii dell’ammiraglio.


§ II.


Rientrato all’Isabella, Colombo non si era per anco riposato delle sue fatiche, quando un messo di Pietro Margarit lo av-