Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/335


capitolo secondo 327

mento di espansione bacchica coll’interprete Diego Colombo, un d’essi gli confessasse che gli stranieri erano tutti morti. Quando il fedele Diego riferì questa notizia al suo padrino, fratello dell’ammiraglio non le fu prestata fede. Si pensò che, per la differenza degli idiomi di Guanahani e d’Hispaniola, avesse mal compreso.

La dimane il sole illuminava la spiaggia deserta. Nessun grido, nessun remo sui flutti: nessun moto, nessuna forma umana sul lido. Secondo i racconti del primo viaggio, s’aspettavano di vedere una moltitudine di canotti intorniare lietamente la flotta, offerendo ogni sorta di produzioni in cambio ed anche in puro dono. Questa disparizion degl’indigeni parve di cattivo augurio. L’ammiraglio mandò alcuni uomini alla residenza di Guacanagari; la trovarono ridotta in cenere: le palizzate erano state strappate: non fu veduto alcun Indiano.

L’ammiraglio, accompagnato da una parte dello Stato maggiore, discese a terra, e andò difilato al fortino. Ahimè! tutto v’era stato incendiato, demolito, messo sossopra! Si vedevano qua e là pezzi di legname, munizioni guaste, cenci luridi, ogni cosa confusa e sparsa in mezzo all’erbe. Superando il suo dolore, l’ammiraglio comandò di frugar sotto le rovine per iscoprire un pozzo ove aveva prescritto di racchiudere l’oro e le cose preziose che si raccoglierebbero durante la sua assenza. Fu scoperto, ma non v’era dentro nulla. Mentre si lavorava intorno a ciò, Colombo era andato colla sua scorta lungo la riva ad esaminare il terreno nel disegno di fondarvi una città. Arrivarono ad un piccolo villaggio i cui abitatori presero la fuga. Nelle case abbandonate si trovò una copia di oggetti che furono già de’ cristiani, e che sicuramente non avevano ottenuto per via di scambio, segnatamente un bel mantello alla moresca, calze, pezzi interi di stoffa ed un’áncora di caravella.

Quando l’ammiraglio tornò alle rovine del fortino, alcuni Indiani, con aria sincera scambiavano dell’oro: essi comprendevano diverse parole spagnole: toccando la camicia o il giubbone li chiamavano col loro nome con una vanitosa soddisfazione: sapevano altresì i nomi di tutti quelli che erano rimasti con Diego de Arana. Non lungi di là, additarono la sepoltura