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capitolo sesto 167

tava il suo tempo per le anticamere, implorando udienza, osasse stipulare titoli e cariche che lo solleverebbero al disopra de’ più nobili casati della Spagna: quindi la conferenza fu sospesa.

Nondimeno agli occhi di Colombo pareva molto semplice ciò che dimandava. Egli giudicava naturalissimo, dappoich’era sul fare dono ai Re di regni più grandi di quelli ch’essi già possedevano, fissare tale rimunerazione, la cui importanza indicasse quella della sua inudita donazione. La ricompensa dev’essere in proporzione del servizio; e colui che accetta meno di quanto gli è dovuto concorre alla propria umiliazione. D’altronde Colombo non esigeva che il premio dimandato nove anni prima alla corona di Portogallo. Pe’ suoi disegni bisognavagli un alto stato, una grande autorità, e sopratutto grandi ricchezze.

Si vuol egli sapere d’un tratto il segreto di quest’ambizion gigantesca? è secreto commovente, che gli sfuggì dalle labbra alcuni giorni dopo in una conversazion familiare coi Re, e che, dice egli, «li fece sorridere;» eccolo.

Cristoforo Colombo teneva come già recata ad effetto la sua scoperta di terre ignorate, alle quali avrebbe la fortuna di annunziare Cristo Redentore: prevedeva pericoli sopra ogni numero, terribili ostacoli, fatiche incessanti: qual contraccambio di tante fatiche, aspirava ad una ricompensa magnifica, la sola che credesse degna delle opere sue: aveva risoluto, col mezzo de’ tesori che ritrarrebbe dalle sue scoperte, di liberare il Santo Sepolcro dal giogo de’ Musulmani: voleva, a bella prima, trattare del suo riscatto all’amichevole, e, se non vi riusciva, levare a’ propri stipendii cinquantamila fanti, e cinque mila cavalli, per istrappare alle profanazioni di Maometto il sepolcro di Gesù Cristo: avrebbe incontanente rimesso il governo di Gerusalemme alla Santa Sede, limitandosi, quanto a lui, all’onore di essere la sentinella della Chiesa sulla soglia di quella terra miracolosa, in cui compissi la nostra Redenzione.

Non potendo indovinare l’intimo pensiero di lui, i commissari della Corte non videro nelle sue pretensioni che una oltracotanza temeraria.

Fernando di Talavera, sempre avverso al Cosmografo genovese, rappresentò alla Regina che sarebbe un grave inconve-