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capitolo quinto 153

Deza, pigliò le sue difese, e guadagnò alla sua causa i primi maestri dell’Università.

Colombo aveva dunque in suo favore la qualità, se non la quantità de’ suffragi. Ma gli spiriti meticolosi, gli scolastici ostinati trovavano singolarmente prosontuoso che un uom di mare avesse a contraddire l’opinione di sant’Agostino e di Nicola di Lyra: e correva altresì una certa qual vaga voce, che diventava pericolosa in paese, dove l’inquisizione, stabilita da poco, spiegava l’operosità della sua nuova giurisdizione. Per buona ventura il nunzio, monsignore Scandiano, non ignorava nulla di quanto avveniva. Anche l’antico nunzio della Santa Sede era là. ll suo giovane fratello Alessandro Geraldini, prevedendo il pericolo, ottenne incontanente un’udienza dal Cardinale di Spagna. Poche parole bastarono per dimostrargli che l’opinione di Nicola di Lyra, quantunque fosse un eccellente commentatore, o del medesimo sant’Agostino, così eminente per filosofia e santità, non potevano fare autorità in fatto di cosmografia e di navigazione, scienze stranie ai loro studi. L’Opinione del nunzio apostolico, del Cardinale, dell’ex nunzio Antonio Geraldini, di suo fratello Alessandro, e le vive simpatie del primo professore di teologia di Santo Stefano, Diego de Deza, sostenuto da alcune notevoli persone di Salamanca, arrestarono l’effetto di queste perfide insinuazioni, mercè cui il sant’Officio era già entrato in sospetto.

La Corte non aspettò il fine delle conferenze, e partì da Salamanca il 26 gennaio 1487 alla vôlta dell’Andalusia.

La Giunta si separò avanti la primavera senza aver nulla conchiuso. A voci unanimi ella condannò il progetto, sia come immaginario, sia come impraticabile: nondimeno il processo verbale delle sue operazioni non fu redatto e consegnato alla Corte. La guerra contra Malaga fece per allora abbandonare il pensiero di Colombo: Fernando di Talavera non potè occuparsene: da un lato egli non vi prendeva alcun interesse, non avendo fede nella possibilità dell’impresa; dall’altro, obbligato ad accompagnare la Corte qual confessore della Regina, non ostante la sua recente promozione all’episcopato d’Avila, sarebbegli stato assai difficile di poter continuare questo affare, dispersi com’erano i membri della Giunta.