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capitolo terzo 125

sona, cedevole e insiem ferma, ascondeva la forza sotto il velo della grazia: la nobiltà del portamento palesava la sua indole; il suo aspetto rivelava la sua autorità. Avea capelli fini, lunghi, biondi, lucenti; pelle di una gran bianchezza; occhi offrenti quella rara mezzatinta che marita l’azzurro col verde trasparente; sguardo, che diffondeva una pura luce sulle sue guance, rimaste vermiglie non ostante le sue fatiche di regina, e i suoi patimenti di madre feconda; labbra castamente chiuse ad ascondere la perfezione de’ suoi denti. La serenità dell’anima respirava nella grazia pudica del volto, in cui la vigoria dell’espressione si appaiava alla soavità della forma.

Questa bellezza non procedeva ne dalla perfezione de’ lineamenti, nè dallo splendore del colorito, ma sì dalla purezza dell’ insieme in bellissimo accordo colla tranquilla espressione de’ pensieri. E perchè la Regina era un modello angelico di costanza e di castità, i suoi lineamenti avevano, per così dire, ricevuto la impronta dell’anima; ne costituivano la veste esteriore, e non avevano gran fatto da temere del guasto degli anni.

Diffatti, venendole meno la prima freschezza, il vellutato delle palpebre, lo splendere del colorito, e l’efflorescente armonia de’ contorni, che costituisce d’ordinario il secreto della bellezza, Isabella non aveva perduto punto della sua grazia; solamente la sua leggiadria era maturata come il suo spirito. Questa donna, giustamente chiamata dal signor Montalembert, «la più nobile creatura che avesse unqua regnato su d’uomini,» presentava quasi un tipo maraviglioso, che fu veduto parzialmente riprodotto e scompartito, quasi porzioni di eredità, nelle quattro sue figlie.

Lungi dall’esagerare coll’ammirazion nostra la bellezza d’Isabella, scoloriamo invece colla nostra rozza prosa questo nobile suggetto di pittura. Lo spazio ci manca. Il nostro disegno ci condanna al più stretto laconismo. Quanto abbiam detto è molto al dissotto di quello che pensiamo; e ciò che pensiamo non può eguagliare, e molto meno superare quello che ci narrano di lei gli annalisti contemporanei e i cronisti officiali.

Non citeremo i poeti, i retori, gli scrittori di corte; non vogliamo mentovare che le testimonianze rese alla sua memoria