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capitolo ottavo 295


L’Ammiraglio aggiungeva, che, secondo la grandezza de’ suoi servigi, e i vantaggi che ne dovevano conseguitare, tutto il mondo aveva creduto che Sua Altezza l’onorerebbe, e gli mostrerebbe la sua benevolenza; che, così operando, ella non farebbe che adempiere ciò che aveva promesso a viva voce, e ciò a cui ella si era obbligata per iscritto colla sua firma.

Ferdinando rispose essergli nota la importanza delle Indie: e Colombo meritare tutti i favori che gli erano stati fatti. Tuttavia, siccome la sua dimanda era complessa, poichè si trattava ad un tempo di titoli, di governo, di diritti pecuniari, e di conti da rivedere, insomma di cose quasi litigiose, conveniva scegliere persona capace per cosiffatta sorta di arbitramenti. L’Ammiraglio accettò questa proposizione e pregò il Re a voler rimettere l’affare nelle mani del nuovo arcivescovo di Siviglia, don Diego de Deza. Ferdinando consentì. Nondimeno l’Ammiraglio specificò espressamente quale quistione intendeva di sottomettere all’approvazione altrui: ed era esclusivamente quella che risguardava le rendite, il montare dei diritti sugli oggetti tratti dalle Indie: perocchè rispetto a’ suoi titoli, ed al governo delle Indie, non ammetteva che si potessero discutere, essendo il suo diritto troppo chiaramente scritto. Pare che l’arcivescovo di Siviglia non accettasse un tale mandato, sia che credesse che la sua amicizia per Colombo lo rendesse sospetto in questo affare, sia che la sua modestia lo impedisse di pronunziarsi come arbitro fra il suo Sovrano ed il Vice-re delle Indie: fatto sta che ricusò di esser l’árbitro in tal lite.

In capo a qualche tempo, l’Ammiraglio tornò a supplicare il Re di ricordarsi de’ suoi servigi, delle sue fatiche, della sua prigionia cotanto immeritata: gli ricordò che si trovava privato de’ suoi diritti e del suo governo, senza essere stato nè accusato, nè esaminato, nè convinto, nè difeso, e ch’era punito senza che si fosse pronunziata sentenza contro di lui; ch’era stato

    hobe cartas de ruego de tres principes, que la Reina, que Dios haya vido y se las leyó el doctor Villalon..., etc.” Carta del Almirante don Cristóbal Colon al Rey Catolico. — Suplemento primero á la coleccion diplomática, n° lviii.