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274 libro quarto

brarono novene, si offerse il Santo Sacrifizio, e molto si pianse, perchè la Regina era l’onore, la gloria, la protezione di ogni famiglia castigliana: ella personificava la delegazione del potere divino nella dignità regia: la potenza immacolata del suo nome riassumeva l’autorità materna della corona. Tocca Isabella dall’iniziativa de’ suoi popoli, non pose ostacolo alla loro pia sollecitudine: ma quando ebbe riconosciuta l’inefficacia di que’ voti, porgendo l’esempio di un’assoluta rassegnazione alla volontà di Dio, ordinò che cessassero le preghiere pubbliche per la sua guarigione, volendo si pregasse solamente per la salute dell’anima sua.

Come avviene spesso in simili casi, la malattia pigliò in quel periodo il carattere idropico1; la Regina avversava ogni specie di alimenti, e sentivasi arsa da sete inestinguibile2. L’esacerbazione de’ patimenti locali non iscemava in nulla i dolori che provava in tutte le articolazioni.

Tre giorni prima della sua morte Isabella aggiunse un codicillo al suo testamento, fatto il 12 precedente ottobre. Un sentimento di pudica sollecitudine le fece prevedere e vietare pel suo corpo le cure dell’imbalsamamento preventivo alle esequie dei sovrani: non volle che neppure la morte potesse abrogare quella legge di sospettosa decenza che fu la casta regola della sua vita. Per umiltà vietò altresì di consacrare alla sua sepoltura alcun monumento sontuoso. Correva voce alla corte che Isabella aveva fatto promettere al Re di rivocare e castigare Ovando, il quale si era bruttato del sangue degli Indiani; di proteggere que’ popoli lontani, ch’ella aveva tanto desiderato raccogliere sotto lo stendardo della croce, e di rintegrare nei suoi diritti, titoli e governo il Vice-re delle Indie, don Cristoforo Colombo. Questa voce era perfettamente fondata. Si diceva altresì a Siviglia che la Regina aveva parlato di Colombo nel suo testamen-

  1. “Sparsus est illi humor per venas, paulatim labitur in hydropisiam. Nec deserit illam febris intra medullam jam delapsa.” — Petri Martyris Anglerii, Opus Epistolarum, liber decimus septimus. — Epist. cclxxiii.
  2. Die noctuque perpetuum est potus immoderatum desiderium; cibi vero nausea.” — Petri Martyris Anglerii, Opus Epistolarum. — Ibidem.