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capitolo quinto 221

ispirata dal principe de’ Profeti Isaia, è sfuggita all’attenzione dei biografi di Colombo: nessuno di essi ne comprese il senso: nessuno dei dotti editori e traduttori della Lettera rarissima ne penetrò il significato, e andò conscio qual era quell’affare così importante, che, chiamando indarno a sè colle braccia aperte, aspettava1.

In conseguenza del suo sublime pudore, che gli vieta esporre più oltre ai dispregi ed alle dilazioni della corte ciò che serra in cuore, il Rivelatore del Globo vedendo chiaro che gli sarà d’uopo liberare co’ suoi soli mezzi il Santo Sepolcro senza il sostegno di Ferdinando, dimanda il dovuto a sè, come la parte di Dio medesimo. Egli dice ai Re: «è giusto dare a Dio ciò che è di Dio;» come se la sua parte fosse quella della Chiesa: riclama che gli siano restituiti i beni ed onori; e dimanda il castigo di coloro che lo hanno derubato e calunniato. «Adoperando in questa guisa, dice, le Vostre Altezze mostreranno una grandissima virtù, e lasceranno alla Spagna un grande esempio, e una memoria gloriosa siccome principi giusti e riconoscenti2

Quantunque la sua ragione e la sua equità non siano meno indegnate del suo cuore pel modo con cui furono ricambiati

  1. La figura ricordata da Colombo essendo affatto inintelligibile pei traduttori, questi abbandonarono placidamente il testo alla pretesa sua oscurità, e sonosi compiaciuti di una traduzione faniastica. Così, i traduttori francesi del testo originale, signori di Verneuil e de la Roquette, entrambi accademici di Madrid, interpretarono questo passo così: “L’altro affare importantissimo, richiede che si abbia ad occuparsene senza indugio. Finora non vi si è pensato.” Il traduttore della Lettera rarissima, anco meno se n’è preso pensiero, e rende così questo passo nella versione italiana: “Su che mai fondansi i miei nemici, osando rimproverarmi che io sono straniero?” Non si può disconvenire che questo genere di traduzione non sia estraneo alla verità, e perciò riprovevole. Realmente però, i traduttori dei due testi neppur sognavansi il genuino senso delle parole di Colombo, tanto il loro spirito er’alieno alla natura religiosa di lui.
  2. Cristoforo Colombo. — “Y quedará á la España gloriosa memoria con la de Vuestras Altezas de agradecidos y justos principes.” — Lettera ai Re Cattolici datata dalla Giammaica il 7 luglio 1503.