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in figure, ciò che egli credette più utile sapersi dalla posterità. Essi rappresentano tutta la dinastia dei re del Messico dai campi di Marte ove eleggevasi il primo re, sino al decimo ed ultimo ai tempi di Montezuma, il quale vi è pure rappresentato in forma di episodio mentre sta abbracciando la fede di Cristo. Quest’opera di mano sicuramente Atzteka, e che vuolsi di un indiano discepolo d’Arteaga pittore spagnuolo, veniva fatto al Beltrami di possederla, leggendosi come a Parigi la mostrasse a Lord Kingbourg il nuovo Champoillon messicano insieme ad alcuni mosaici a piume d’uccello rappresentanti figure di Santi così finamente condotti e di così abbaglianti colori, e cangianti a seconda del variare della luce, da riuscire, come a noi stessi venne veduto, magnifici e meravigliosi. Alla quale arte di valersi delle piume tanto sfolgoranti di luce dei colibrì, vedemmo accennasse pure con giusta meraviglia il grande Conquistatore, inviandone alcuni saggi a Madrid, avuti in dono da Montezuma uniti a quanto di prezioso e di raro credeva offrirgli in oro, ed in gioie. Accennando gli storici alla importanza ed alla ricchezza delle Fiere di Messico osservate dai primi Spagnuoli, ricordano oltre ai lavori di orificeria, a lunghe file di pitture con vane fantasie e paesi tessuti di piume, le quali colorivano ed animavano le figure, piume messe insieme con una pazienza e tedio infinito. Ciò però che bastava a rendere eminentemente il Beltrami benemerito della letteratura indiana era l’Evangelario manoscritto in lin-