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desimo. Comunque intanto vada la bisogna, riesce cosa osservabile, che ogni migrazione di popoli trovasse sempre nei nuovi paesi antichi abitatori, sicchè è a credere, che la potenza infinita del Creatore, la quale volle vestita di erbe e di piante tutta la superficie del globo, cooperasse pure a diffondervi sopra l’umana specie, la quale, durando sconosciuta, godette di una pacifica esistenza fino a che di mezzo a guerresche agitazioni ed a rapaci invasioni venne tratta dallo stato di lei primitivo a quello, se non più felice, almeno più colto ed illuminato. Dopo una soffermata a Tampico volgevasi il Beltrami ad Altamira, bello ma piccolo villaggio a quindici miglia dal mare, posto ai piedi di ridente collinetta incontro alla quale sorge maestosa smisurata mole a guisa di piramide, difficile a dirsi se lavoro dell’uomo o della natura, ma che una volgare tradizione vorrebbe opera di un popolo gigante, dei cui miti forse ogni nazione addita antiche memorie, tanto parve fatale all’uomo uno spirito di maligna superbia e d’opposizione al supremo Fattore. Ma di tali costruzioni scorgonsi nel Messico numerosi esempi. Esse presentano una grande analogia di forme colle piramidi egizie ed asiatiche: hanno una base larghissima e terminano in un cono troncato, su cui alzavasi l’altare. Questi erano i Téocalli degli Atztechi, di cui resti grandiosi si ammirano, quali ancora vincitori di ogni possa degli uomini e del tempo, altri mezzo sepolti sotto le rovine od in enormi frammenti volti ad usi moderni. Taluni di essi alti ben dieci a