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vestire l’assisa di pedante maestro, evitando al lettore le noie di quella prolissità che è pur scoglio precipuo di tali produzioni. Era infatti principio da lui altamente professato che tutto dicendo non è sempre fare il meglio, giovando tal volta lasciare libero campo all’altrui immaginazione, ciò che egli rimproverava di non aver fatto al grande Fénélon nel suo pur divino Telemaco. Il giornale — Le Réveil — di Nuova York 1825 annunziava questa produzione del Beltrami con parole onorevolissime dicendola assai interessante e variata, piena di originalità e di erudizione. Ma questa rapida escursione del Beltrami data già da oltre trent’anni, e da quell’epoca a noi dopo tanti avvenimenti e mutate condizioni di popoli, male si avviserebbe chi dalla di lui narrazione conoscer volesse lo stato presente di quei grandi centri visitati e descritti da lui. Pur egli scrivendo di Londra, e di quanto vi trovava degno di esame non poteva passare il vandalismo col quale quegli Isolani avevano fratturato marmi, e spogliato venerabili monumenti, che il tempo aveva esso pure rispettato e l’antichità avrebbe desiderato di veder conservati all’ammirazione del mondo. Tolti dalle sabbiose lande d’Egitto, e dal classico suolo di Grecia gli obelischi, le statue, le membrature staccate di superbi edifici, onde ora s’abbella quella Regina dei mari, scaddero di loro principale importanza, non più circondati da quell’aureola d’ammirazione che fa dire a chi li osserva — qui furono innalzati da popoli, che più non sono, e qui stanno a dispetto de’ secoli. Basti