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suoi poderi di Filotrano, fra vecchi e semplici amici, in mezzo alle memorie della gioventù e de’ suoi viaggi, ed ivi morì nel febbrajo 1855, avendo compiti i 75 anni.
Fu di alta, snella e dignitosa persona, di volto aperto per tratti grandi, e colorito vivace, d’occhi biancastri e vivi, di capelli castani. Era sì animoso ed impetuoso che trovandosi da giovine a Milano in un albergo, a notte avanzata sentendo un grande tafferuglio sotto le sue finestre, non potendo escire, perchè l’albergo era chiuso, balzò dal balcone, vi si gettò in mezzo colla canna e dissipollo.
Le sue antipatie, eccitate specialmente da vivacità di carattere ed alimentate dalla vita avventurosa e capricciosa, si manifestano ad ogni tratto nelle sue opere, piene di declamazioni contro le ipocrisie, contro il gesuitismo, contro le borie letterarie, contro le burbanze magistrali. Egli ricco di buon senso ed affettante superiorità di spirito e fierezza selvaggia, non s’avvede che spesso le allusioni alla vanità dottrinale tradiscono in lui l’ambizione di dividere la gloria, ed i vantaggi degli scienziati. Donde gli veniva la lena di rigonfiare le sue lettere schiccherando di tutto, e sciorinando artatamente tutto che poteva dar colore alle sue gesta. Scrisse in lingue straniere per essere letto dai più, ma conobbe di fare mala prova, però osserva saggiamente essere difficile che un italiano pensi in altra lingua che la sua. Nondimeno anche prescindendo dai vezzi e dal sapore della lingua, il