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scolo col titolo l’Italie et l’Europe e dedicollo ad un re saggio e cittadino, in cui pare accennasse Luigi Filippo. E ne mandò una copia a Chateaubriand, il quale risposegli fra l’altre cose queste per lui memorabili parole. «Nessuno brama più di me l’affrancazione della terra classica della libertà, ma io non spero nulla dalle attuali generazioni. La vecchia società perisce e nel travaglio della decomposizione e della trasformazione nazionale non si può attendere ciò che deve essere il risultato d’una lenta metamorfosi. Il disgusto ed il disprezzo profondo che mi si apprese per tutto che è nell’Europa e re e popoli, mi gettò nella solitudine.» Dove si sente lo sdegno nobile e mesto di un saggio legittimista deluso.
L’indole inquieta, le delusioni, le ostinate opposizioni che gli suscitavano i suoi modi bruschi e baldanzosi, ed il disgusto di una vita che non gli aumentava il pascolo della fama, presto lo stancò di Parigi, come l’avea fastidito la metropoli britanna, ad onta dei favori che vi trovò nel governo, e nei dotti che lo nominarono della società medica botanica. Dopo una escursione ai Pirenei, donde recò una lucerta bicefela che gli valse crude polemiche coll’accademia delle scienze a Parigi, venne nella Germania ed acquistò una villa con castelluccio ad Heidelberg e la tenne parecchi anni. Nel 1837 lo troviamo a Vienna, e di là poco stante a Roma, e così quando qua, quando là si trasse insino oltre il 1850, quando sentendosi aggravare dal peso degli anni, si ridusse in porto nei