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Quando i castori hanno terminate questo lavoro che deve servire al ben essere di tutti, dividonsi in tante piccole tribù, ognuna delle quali pensa a costruirsi un congruo domicilio. A tal uopo innalzano in vicinanza del fiume delle capanne tessute con legni, sabbia e fango, e che riescono di una mirabile solidità. Ognuna di queste è di forma rotonda od ovale, col diametro vario dai quattro ai dieci piedi, ed ha ordinariamente un solo piano ed una sola apertura che per un condotto sotterraneo mette profondamente nell’acqua del fiume. Ogni famiglia ha cura della sua capanna, nè permette mai che ivi si introduca uno straniero.

I castori amano di passare la primavera, dispersi e vagabondi per le campagne, e non visitando che di rado i loro abitacoli. Radunansi in principio d’estate, e danno mano ai lavori di cui hanno bisogno, poi raccolgono grande quantità di rami verdi e di scorze di betule, di salici e di pioppi, di cui riempiono i loro magazzeni, finchè il rigore dell’inverno li obbliga a ritirarsi nelle proprie capanne, a godervi quegli agi che sono il meritato premio d’una lunga ed assidua fatica. Là nella quiete domestica succede l’avvicinamento de’ due sessi; e la femmina che diviene feconda, dopo una gestazione di quattro mesi, depone tre o quattro figli. Ai primi tepori di primavera, i maschi sortono alla campagna, lasciando le femmine in custodia delle case e de’ piccini. Dopo sei settimane all’incirca queste tenere creature hanno sufficiente forza per seguire la madre nelle sue peregrinazioni, e questa sorte infatti a nutrire e ristorare sè stessa ed i figli con erbe e scorze verdi.

Non tutti però i castori vivono in truppe così numerose e così ben ordinate, quali fin qui le abbiamo
vedute. Incontransi talvolta lungo le sponde del Rodano, del Weser e del Danubio de’ castori solitarj, forse condannatati a quello stato da frequenti scontri cogli uomini che popolano quelle contrade. Occorre però di vederne anche nelle spiaggie deserte del Canadà, dove chiamansi Eremiti. Supposero alcuni autori che fossero individui espulsi dalla società degli altri, pei loro difetti. Ma Cartwright opina invece che sieno de’ vecchi, che attendano degli altri loro congeneri, onde arruolarli o stabilire una famiglia.

È antica ed erronea credenza che il castoro qualora trovisi inseguito dal cacciatore, indovinando le mire di costui, svelga da sè stesso le sue preziose borsette odorifere, e le abbandoni a saziare l’ardente brama del suo nemico. Risulta invece dalle relazioni di Cartwright e di altri viaggiatori, che il castoro, qualora conosca di non potere sfuggire al cacciatore che lo insegue, pongasi ritto sulle gambe posteriori, tremi tutto fissando il suo nemico, e quasi cercasse di placarne lo sdegno, emetta un grido acuto e lamentevole. Un cacciatore fu in realtà commosso nel profondo dell’animo da un castoro che sorprese, mentre trascinava un ramoscello alla sua capanna, e gli disse — “Rassicurati, gentile, innocente creatura, io non ti farei male per quanta ho di più caro al mondo; riprendi il tuo ramo, e va tranquillo e sicuro.”

Ora chi può negare al castoro qualche cosa di più nobile di quella forza che obbliga l’ape, la formica, e tanti piccoli insetti a lavori non meno sorprendenti, ma puri figli dell’istinto? Condillac disse già che di tutti gli esseri creati, quello che più difficilmente si inganna è il meno dotato d’intelligenza. Ed infatti le operazioni che ammiriamo nelle innumerevoli famiglie di insetti, sono di una perfezione eterna, immutabile, voluta dalla natura; il castoro all’incontro non è infallibile ne’ suoi lavori; talvolta egli edifica la sua capanna in una spiaggia sterile, deserta, che poi dovette abbandonare per non trovarvi il necesario alimento. Oppure mancò di previdenza, ed una piena del fiume svelse dai fondamenti il suo casolare. Distruggete cento volte la tela del ragno, che egli la rifabbrica cento volte nell’istesso luogo. Il castoro invece, perseguitato dall’uomo, si riduce alla trista condizione di vivere solitario, nelle tane scavate da altri animali, rinunciando a quelle facoltà che ha sortito dalla natura, e che gli sono divenute inutili o dannose. Un uomo rozzo, ma di cuore sensibile, chiamato Atkins, ricusava assolutamente di mangiare la carne dei castori, dicendo che quelli animali erano esseri ragionevoli obbligati da un maligno spirito ad una forma tutt’altro che umana.

F. D. F.


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MILANO. DALLA TIPOGRAFIA DEL COSMORAMA.