Pagina:Cosmorama Pittorico 1836 15.djvu/6

118 cosmorama pittorico.
LE VESTI DELLE ANTICHE ROMANE.

Le femmine dei primi Romani portavano sulla nuda pelle la toga, comune allora ai due sessi; ma ben tosto fu rimpiazzata dalla tunica.

Presso quasi tutto le antiche nazioni, le donne usarono la tunica, che tenea luogo di camicia. Prima di lana, in seguito di lino, la tunica ricevette siccome la toga nomi diversi, secondo le differenti foggie, o gli ornamenti che vi aggiugnevano.

La tunica, presso i Greci ed i Romani, consisteva in un lungo quadrato, cucito dai bordi inferiori fino quasi all’altezza delle coscie. Le donne fermavano la loro tunica sulle spalle col mezzo d’una fibula, specie di maglia o di bottone. Queste fibule, d’una grossezza più o meno considerevole rappresentavano un animale, una lira, o qualunque altro oggetto, ed erano d’oro o d’argento.

Le forme della tunica variavano all’infinito. La tunica, d’una stoffa candida e leggiera, scendeva fino a talloni, e montava sì alto che copriva tutto il petto, nè lasciava scoperto che il viso.

La civetteria ridussela in modo da lasciare a nudo il collo; la vanità ornolla di ricami e di fiori; il capriccio vi adottò un lievissimo mantelletto, e la cinse alle sue estremità, alla gola, alle maniche, di frangie, donde venne forse l’idea dei collari e dei manichetti. Le frangie, che in origine forse altro non erano che i lunghi peli delle pelliccie, e il cui uso sembra derivare dai popoli Orientali, pare, osservando le antiche pitture, essere state in grande favore appo le femmine Greche e Romane.

Le maniche della tonaca, lunghe e strette, discendevano qualche volta fino al gomito, e spesso fino al pugno: sovente non erano punto cucite.

La tonaca dorica, diversa in questo dalla tonaca ionica, non avea maniche; fermavasi alle spalle con fibbie, ed era il vestimento più in uso nella Grecia. L’abbigliamento delle donne Israelite era la tonaca senza maniche simile a quella delle doriche.

Presso tutti i popoli dell’antichità che fecero uso della tonaca, le donne serravanla al petto od alle reni con una cintura.

Le cinture erano di foggie diverse e di diverso colore. Semplici, o con frangie o denti di lupo, qualche volta erano adorne di ricami e di piastre di metallo; chè allora non conoscevasi nè laminatojo nè filiera, e contentavansi di ridurre l’oro a lamine sottilissime sotto il martello. Le larghe cinture (stropheion) che le donne greche ponevano al di sotto del collo, loro serviva di riporre le lettere ed i presenti degli amanti. Presso le donzelle dei Galli e dei Germani le cinture erano un oggetto di lusso; esse erano di seta, d’oro, o d’argento.

Le vesti delle romane patrizie, consistevano in una tonaca (stola) con un orlo rovesciato (iustita), o formante coda ornata d’un aureo nastro; spesso l’adornavano d’una fascia di porpora (clavus) più o meno larga, dividendo così coi Senatori Romani l’onore del Laticlavio. I bordi che le femmine greche e latine aveano sulle loro vestimenta erano soventi volte dipinti sulla stoffa, oppure ricamati; ma, più di frequente, erano fascie di porpora, staccato dall’abito, e che vedeansi a parte; alcune rappresentavano le ondulazioni del mare.

Sulla tonaca le donne del Lazio gettavano un mantello larghissimo, appellato palla; questi due vestiti erano il loro attributo, e distinguevansi così dalle femminette della plebe.

La palla, somigliante a un ampio schall, era per le femmine ciò ch’era per gli uomini la toga e la pretesta.

Le patrizie spiccavano nell’arte di ben indossare la palla; quest’arte consisteva nel cingersene la persona senza scompigliarla, nel dare alle pieghe una elegante composizione, nel lasciarla scendere fino al garretto, senza strascinarla sul suolo, e in modo da lasciar apparire il prezioso bordo della tunica in tutto il suo splendore. Un lembo di questo mantello passava sotto il braccio diritto, che, siccome la spalla dritta, rimaneva a nudo. L’altra lembo era gettato con grazia sulla spalla sinistra, ch’essa copriva, siccome il braccio sinistro fino alla mano, colla quale sollevava la palla.

Appo i Greci, le donne andavano velate da un mantello cortissimo (hemi-diploide); composta di due fascie, e fermato sulle spalle. Il peplo era l’abito più lungo; era l’indumento delle vergini donzelle e delle Divinità.

Il peplo formavasi di due pezzi di stoffa lieve e finissima, dei quali l’uno, quello posteriore, era più lungo di quello davanti, e quasi strascinantesi. Il peplo non avea maniche, era sempre aperto ai due lati e fissavasi ordinariamente con una cintura; più spesso era orlato e tessuto d’oro e di porpora, qualche volta guernito di frange. Sebbene il peplo esser dovesse bianco, ve ne erano puranco di differenti colori.

I popoli dell’Oriente usavano un peplo d’una stoffa assai fina di lino o di cotone; le Cartaginesi erano presso a poco vestite come le Romane.


FERMEZZA DI UN MINISTRO E PRUDENZA DI UN RE.

Lo storico della Sardegna, il Barone Manno, in una preziosa operetta intitolata: Quesiti sui pubblici ufficiali, e nella quale svolge i doveri loro con grande saviezza di vedute, reca molti esempi di virtù e di prudenza ne’ pubblici amministratori, fra quali una tradizionale di Carlo Emanuele III che ne piace riferire.

Il re avea per ragioni di personale benevolenza promesso ad una persona calorosamente raccomandatagli la preferenza nella nomina ad una carica rendutasi vacante. Il ministro Bogino, al quale Carlo Emanuele palesò dappoi quella sua intenzione, consapevole com’era dell’incapacità del candidato, evitò con questa destrezza di portare a conclusione il discorso tenutogli dal re in tal proposito, pregando gli si concedesse di meglio chiarire l’attitudine della persona. La persona si chiarì incapacissima, e la relazione del ministro accennava perciò ad una ripulsa della dimanda. Ma il dispiacere che il re avrebbe sentito se avesse dovuto indietreggiare nella sua promessa lo facea venir sopra alle osservazioni del ministro, al quale perciò davasi l’ordine di tenere apprestate per l’udienza successiva le lettere patenti necessarie per quella nomina. Le patenti adunque presentavansi dal ministro, il quale non altro argomento si riserbò onde lasciare l’opportunità per un nuovo discorso sopra quella persona, che di ordinare