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il pensier della fuga. Egli lo strozzò. In una città forse non ci avrebbe neppur badato; lassù dove aveva trovato tutto, così povero e bello, si sentiva legato a quella famiglia, a quella casa, a quei beschi.

— Vile! — diceva tra sè: — già sarebbe una bella forza! E che bella memoria quella d’essere passato quassù come un lupo, lasciandomi dietro dei morti e degli offesi.

Si alzò travagliato; e dall’aia, ai prati, ai lembi della selva, andando e tornando, si trovò stanco vicino al fienile. Perchè non si sarebbe messo un po’ a giacere? Si gettò disteso sul fieno, chiuse gli occhi e dormi. Ma quanto? Nel momento che si destò, tra le fessure delle pareti, vide certe stelle vedute già la notte avanti, nel punto che Biagio era venuto a disturbar lui e Nunzia improvviso. Dunque era la stess’ora? Ne provò uno sgomento grande. Di lor tre, uno era già morto! Ma subito lo distrasse un bisbiglio che veviva da fuori. Stette a sentire. Parlavano il padre e lo zio di Nunzia.

— Sorte che il flebotomo non c’era! Non sa- rebbe venuto a far nulla, e intanto a pagarlo come avremmo fatto?

— Poveri o avari? — pensava Pellegro. Gli altri seguitavano a dire, e allora capi che pigliavano delle misure. Si alzò, discese, e li vide ginocchioni su delle assi. Diceva il padre di Nunzia:

— Così... ti par corta?

— Io dico che ci dovrebbe stare.

— Allora piglia la sega e i chiodi.