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diceva che, essendo omai sera, se ne voleva andare pe’ fatti suoi.

— Come pei fatti vostri? — gridò il vecchio infalconito: — avevate detto di volervi fermare con noi!

A Nunzia tremava il cuore.

— Ebbene, e io resterò: — disse risoluto Pellegro.

— E parleremo insieme — soggiunse Biagio: — ora è pronta la cena?

Diceva così, perchè appunto si sentiva la pentola che Anna levava dal fuoco. Una fragranza di minestra, condita con rosmarino ed aglio, si diffondeva per la cucina: Nunzia, lesta come una rondine, porgeva le scodelle alla madre che col cucchiaione dava dentro e riempiva. Uno qua, uno la, chi su d’un sasso chi su d’un toppo, si posero di fuori a mangiare; cercavano di dire delle facezie, facevano i conti sul cammino di don Teobaldo; Pellegro e Nunzia mangiavano con certa soggezione l’uno dell’altro. Ma Biagio taceva; guardava torvo or di qua or di là; mangiava di malavoglia.

Intanto le galline si avvicinavano venendo alla sfilata; il gallo rondeggiava austero, quasi contandole, mentre che si imbucavano nel pollaio; su nelle faggete cominciavano i gufi a chiamarsi; e da una foce di monte là sopra, si affacciava una lunaccia, che pareva bolsa.

— Chi dormirà nel fienile? — chiese il vecchio a un tratto, volgendosi ai figlioli.