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grigio, segaligno, ritto come un cero, nei suoi verdi anni doveva essere stato qualcosa di bello. Lavoravano silenziosi a fare la carbonaia; l’avevano già ricoperta di terra su su quasi tutta; se ne vedevano appena le ultime grillande di legna avvolte a formar la vetta; e adesso stavano rifasciando di piote anche questa.
— Oh! ecco la profenda: — disse il vecchio che vide di sottocchio la nuora col forestiero. — E voi chi siete?
— È un povero disertore, — disse Anna accostandosi allo suocero: — perchè - gli date del voi? Un soldato potrebbe essere il figlio d’un barone...
— Lasciate, lasciate, Anna: — entrò a dire Pellegro: — il voi fa comodo. Sì, sono un disertore.
— Come? Sa già che si chiama Anna? — mugulò il marito della donna.
— Sento che foste disertore anche voi: brutta vita nevvero? — soggiunse Pellegro.
— Io? — rispose aspro il vecchio: — io disertai e feci bene, e allora era allora e non volli servir Napoleone; ma adesso, voi siete disertore del nostro re.
— Avete ragione. Ma se sapeste la mia storia...
— Già, già; tutti avete la vostra storia: da due anni non si sente altro. Ce la racconterete. Adesso, se volete mangiare con noi, animo. Andiamo, fi glioli, che se ci riesce voglio che diamo fuoco alla carbonaia prima delle ventiquattro.
Mentre che andavano tutti e cinque a mettersi sotto uno dei castagni lasciati ritti, il marito d’Anna le disse sottovoce: