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rta sicchè l’animo si riempie a un tratto della loro vi- sione. E quale profonda tristezza, come quella del- l’autunno dopo la vendemmia, nelle ultime pagine, del novembre, da Caserta, quando l’esercito meri- dionale è presso a sciogliersi, e l'impresa dei ga- ribaldini sta per passare, sulla via contesa di Roma, alle armi regie!
Quei grandi ricordi fecero all’Abba il suo stile; più vibrato, più arciero, dirò così, nel cogliere a volo e appieno le cose, in quel mirabile libro che ha pochi esempi d’eguale sincerità nella nostra letteratura: nelle novelle, come anche nel romanzo, — Sulle rive della Bormida — lo stile procede na- turalmente d’un passo o d’un polso più lento. Nelle novelle non si respira l’aura grande del mare corso dalla nave di Garibaldi, nè dell'Etna, ma quella del borgo piccolo e chiuso, dove l’autore, deposta la sua gloriosa camicia rossa, visse, non impunemente, molti anni, ipocondriaco e solitario. Forse la preoc- cupazione che prende alcuno dei personaggi delle novelle, di ciò che gli altri penseranno e diranno, e che proveniva nell’Abba da un vivissimo rispetto di sè, fu in lui acuita dall’aver sofferto quell’assidua vigilanza sulla condotta del vicino che nei piccoli luoghi, più che nei grandi, si esercita con una inesorabile crudeltà di censura. Come io l’ho sentito