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CAB

« Quella bella chiesa del quattrocento... anche sotto la gran luce del sole, era sempre mesta come se vivesse in qualche suo segreto cordoglio ».

« In chiesa non vi era di vivo che la fiammella della lampada ferma nell’aria, sopra l’altar mag- giore, fissa come un occhio che guardasse dall’eter- nità, e vegliasse per tutti, ammonendo che c’è qualcuno che vive sempre, mentre gli uomini a uno a uno se ne vanno. (Primi Duoli).

« Fumavano le carbonaie da tutte le parti della montagna, come se si fossero formate e accese da sè ». (Nunzia).

Qui, la chiesa del quattrocento, la lampada ac- cesa nella solitudine, le carbonaie silenziose e fu- manti, vivono quasi immaterialmente, cioè per quello che, con la loro singola apparenza esteriore, hanno fatto pensare e sentire all’artista, che è la loro im- magine più reale, perchè la sola che abbia per noi quel senso umano che da noi ad esse è attribuito. Così l’autore può non diffondersi in lunghe e inu- tili descrizioni come coloro che vedono soltanto le apparenze superficiali, e non intuiscono lo spirito che le unifica, e ne rende vivo e presente, e molto più esteso il significato. Da quest’occhiata intuitiva del sentimento, viene quell’aura di semplicità ome- rica che trasvola sulle pagine « Da Quarto al Vol- turno. » Quel libro può dirsi la nostra Chanson de geste, e, leggendolo, perdiamo quasi di vista la pa- rola, tanto essa è potente, nella sintesi d’un breve periodo, a cui nulla è da togliere, nulla è da ag- giungere, a farci balzare innanzi i fatti e le cose,