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Solo nella chiesa del suo paese, Foresto esita tra lo schifo della penitenza avuta dal confessore e il timore, se non la fa, di rimanere in peccato mortale. Tali penitenze erano tra i modi (e chi scrive se ne ricorda) pedagogici e avvilitivi, che, sotto il dispotismo, si usavano nelle scuole tenute da donnicciuole e da preti cretini. Finalmente Foresto si fa coraggio, e incomincia con la lingua a far croci in terra. Sopraggiunge Nerina. I due ragazzi sentono a stare insieme una certa loro dolce compiacenza, avvelenata da Vanni. Foresto lo trova un giorno sull’alto d’una montagna. Vanni fugge, e Foresto dietro, gridando: — Tanto t’arrivo! — Ma mentre lo rincorre, s’arresta a un tratto... Ri- porto il bellissimo luogo:

« La distanza spariva; non c'erano più che pochi passi, e poi, giù la mano nei capelli, una stretta da schiantargli la testa, e a terra! che quel tristo domandasse pietà. Ma a un tratto Foresto si fermò. Dinanzi, laggiù, lontano, traverso una foce di monte; vide un piano azzurro, infinito, tranquillo che doveva essere il mare. Gli parve di sentirsi rapire. E allora il suo cuore si sciolse, s’allargò, provò un senso d’abbandono divino, un desiderio d’aver le ali, lanciarsi, empir di sè tutto quello spazio, o esser su quella nave di cui si vedeva appena il bianco della vela laggiù... Che dolce smarrirsi!... »

« E che Vanni continuasse a fuggire! »

In questo subitaneo trapasso dallo sdegno all’am- mirazione, riconosco tutto l’animo del mio povero amico. In Foresto più del piacere della vendetta,