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« viaggio, povero quanto allegro, una sera all’Avem- « maria giunsi a Savona. Mi rimanevano quindici « centesimi appena. Le viscere latravano davvero; « eppure non vera pane, ed era forza imporre « silenzio ai loro lamenti. M’avviai lentamente sulla « strada che mena ai miei monti, e quell’aria già « fredda che a buffi frequenti mi percuoteva nel « volto, ristorava il mio petto. Camminava spedito, « e il rumore degli sproni distraeva la mia mente « come una soave armonia. Alla solitaria taverna che « fiancheggia la strada poco distante dalla città, « bevvi tanta acquavite quanta me ne fu data per «i miei centesimi, e rinvigorito ripresi la via. La « luna splendeva bellissima sopra il mio capo, ed io guardavo la mia ombra che rapidamente scor- reva sul margine della via. Rividi così ad una ad una le cime de’ monti feconde di memorie infantili: Cadibona mi parve più bella colla sua torre cupa, fredda e pesante, in Altare passai come attraverso ad un cimitero. Ma a Carcare il mio cuore si commosse profondamente. Cinque « anni innanzi quel villaggio mi aveva veduto spen- « sierato e felice, ora conforto, ora disperazione « de’ miei maestri. Le vie erano solitarie, e in faccia « al Collegio m’arrestai lungamente. Battevano le « due. Oh! quante volte quell'ora m’aveva scosso « trovandomi col capo reclinato sul mio Virgilio, «a mormorare le cento volte un esametro che mi « rivelava delle melodie divine! E per la prima « volta pensai alla fuga degli anni, e rimpiansi il « passato che come folgore mi balenava dinanzi...

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