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I più invece se ne appagano, e lo scarso consenso a quelle voci intime, che sono sempre le più esi- genti e le più tenaci, fu tra le cause, credo, per cui egli non depose mai quella sua severa mestizia.

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Con tale mestizia nel viso buono e marziale, io lo riveggo oggi che non è più. Lo riveggo gio- vane, passeggiare con que’ suoi lenti e malinconici passi per le vie solitarie di Pisa, lo riveggo in quella sua camera di via Santa Maria, sì poco ammobigliata, annebbiata dal fumo del suo virginia, con due o tre compagni più fidi, seduti intorno a quella tavola verde: egli si esalta in Virgilio, nel Foscolo, nel Mazzini, e tutti si- esaltano in Garibaldi, negli uomini della rivoluzione francese, ovvero combi- nano, sulla carta d’Italia, dei piani strategici come giovani generali alla vigilia d’una battaglia. L’Abba sorgeva talora, in quei colloqui, come un tribuno inesorabile, invocante una gran vendetta sociale, ma chi vuol sapere che cuore avesse questo tri- buno, legga questa pagina che un giorno mi donò manoscritta in quella sua camera a Pisa. Il giovane romantico, finito il 59, così racconta il suo ritorno al paese natale:

« Moriva l’ottobre dell’anno 1859. Nel piccolo « villaggio di Melzo, a poche miglia da Milano, « stavano, come si dice nelle milizie, accantonati i « due primi squadroni dei Cavalleggeri d’Aosta.