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tende e sogna, si dà il più terribile avviso e il più vero che mai un poeta potesse dare, in quei giorni, a un popolo decaduto ed illuso. Ma questo romanticismo che afferma una giustizia storica e insieme provvidenziale, va di pari passo con l’altro del dubbio metafisico, dell’ironia mefistofelica, e della disperazione; onde quei fantasmi tragici e scrutatori quali l’antichità non conobbe; e sono come le ombre proiettate, nei suoi grandi capola- vori, dal pensiero umano tanto più adulto, e di- sciolto dalle vecchie illusioni. Terribile momento questo, in cui l’uomo, nell’infinito ordine del creato, più non intende sè stesso, o se s'intende quale par- tecipe al destino d’ogni apparenza momentanea e vanamente vitale, vi si ribella; non l’appaga più la fede ingenua e neanche la scienza, e un nuovo dolore, quello dello spirito irrequieto, anelante e non rassegnato, penetra nella letteratura con quelli che direi i fratelli d’Amleto, e sono i Werther, i Fausti, i Manfredi, i Consalvo. L’Abba pati egli pure il contagio di questo romanticismo luttuoso, che è la grande poesia sorta dallo spirito della Ri- forma, opposta alla poesia di tradizione cattolica e medioevale, così certa delle tenebre e dei lumi dell'Universo; ed egli che nel Medio Evo sarebbe stato un mistico ben sicuro, come l’Alighieri, della sua fede, ne sentiva ora mancare sempre più il respiro consolatore alla nostra civiltà decadente. La fede in una finalità non effimera e non circoscritta come quella del verme, innalzava gli spiriti di quest'uomo, che d’altronde contava sì poco le gioie materiali.