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rado egli sorrideva, nè ricordo d’averlo mai visto abbandonarsi al riso spensieratamente giocondo. Pa- reva non poter mai obliare che la vita è seria, è una responsabilità di coscienza, non una formida- bile e futile buffonata del caso. Quella sua tempra d’acciaio, ben resistente alla prova dei cimenti e delle sventure che non gli mancarono, tra cui la morte d’una figliuola amatissima; era poi sì profon- damente commovibile che egli poteva accorarsi anche a un'immagine di dolore offertagli da cosa che, come si suppone, non ebbe l’infausta facoltà del soffrire. Mi diceva a tal proposito che udendo da bambino mugolare il vento invernale, egli pen- sava alle povere pianticelle esposte sulle mura del paese a quel freddo, mentre lui intanto se ne stava caldo nel suo lettuccio. E soggiungeva di somigliare in questo a sua madre, la quale, come egli mi disse anche l’ultima volta che ci vedemmo, fattasi della camicia rossa del figlio un ruvido cilizio, lo portò sempre segretamente, ed ei non lo seppe se non quando glie lo vide indosso da morta. Morbosa sensibilità sarà detto, e certo non quella dei fortunati che possono sempre trovare un facile equilibrio nel proprio egoismo. Mettete tutti gli egoismi e tutte le ambizioni umane nel cervello di Napoleone, ed egli vi sacrificherà milioni d’uomini per un impero di quindici anni. Ma per rifare la fede, l’arte, la patria, la civiltà, occorre il cuore di Cristo, di San Fran- cesco, di Dante, di Mazzini, di Garibaldi; e l’Abba aveva pure in sè un frammento di quella scintilla divina. Se da fanciullo le lacrime delle cose lo

ABBA. — Cose vedute. 2